OUT! n. 29 - 22/07/2024
Oltre lo Yemen | Continuare a puntare su Trump? | J.D. Vance, populista o conservatore? Entrambi | Investire, crescere e tagliare il deficit pubblico, allo stesso tempo?
Oltre lo Yemen
(#SG) Dopo che venerdì gli Houthi hanno colpito Tel Aviv con un drone uccidendo una persona, Israele ha riposto sabato bombardando il porto di Al Hudaydah (Hodeidah). Secondo gli yemeniti, l’attacco israeliano ha causato almeno sei vittime e 83 feriti. A loro volta, gli Houthi hanno risposto domenica inviando un missile terra-terra a Eilat e colpendo una nave cargo battente bandiera liberiana, la Pumba, partita da Jedda e diretta in Malaysia. L’Iran ha condannato il bombardamento israeliano, paventando rischi di escalation. “La risposta all'aggressione israeliana contro il nostro Paese arriverà e sarà enorme e grandiosa", ha detto un portavoce Houthi, mentre altre minacce sono venute dal leader Abdul Malik al Houthi: “Il nemico israeliano non è più al sicuro in quella che viene chiamata Tel Aviv”, ha detto. Ieri gli yemeniti hanno segnalato altre sei azioni angloamericane in Yemen.
L’Arabia Saudita ha smentito di aver avallato l’attacco israeliano e ha espresso preoccupazione, temendo che l’azione israeliana comprometta gli sforzi per un cessate il fuoco a Gaza. Intanto, Netanyahu sarà a Washington domani per discutere proprio di Gaza.
La sensazione però è che la situazione stia sfuggendo di mano. La tregua in Yemen che dura da due anni regge, ma gli Houthi dopo il 7 ottobre hanno iniziato ad attaccare il traffico commerciale marittimo. Ben finanziati e armati dall’Iran, hanno ora iniziato a colpire direttamente Israele. La questione degli Houthi non è un caso isolato. La situazione nel prospiciente Corno d’Africa è diventata drammatica, nel totale disinteresse internazionale. Tutta l’area, Yemen compreso, è una polveriera.
Nella regione etiope di Amhara prosegue la guerriglia tra le milizie Fano e l’esercito regolare, dopo la fine della guerra del Tigray. Guerriglia anche in Oromia contro la milizia Oromo Liberation Army, con gli scontri che sono arrivati anche vicino ad Addis Abeba. L’Etiopia ha firmato con il Somaliland, che pretende l’indipendenza dalla Somalia ma che nessun paese riconosce, un accordo per l’accesso ai porti nel golfo di Aden, che presuppone un riconoscimento del Somaliland da parte dell’Etiopia. Cosa che potrebbe provocare una disputa con la Somalia. Il Sud Sudan è in preda alla guerra, con 2 milioni di persone alla fame e 11 milioni di profughi. In Eritrea un autocrate settantottenne in carica da 30 anni potrebbe presto lasciare un vuoto di potere e gettare il paese nel caos. Anche in Kenia si sono visti recentemente disordini e instabilità politica, con il confine nord soggetto a incursioni di guerriglieri somali armati. Anche Gibuti, sinora tranquillo, potrebbe diventare in ogni momento un punto caldo.
I costi dei noli marittimi dalla Cina all’Europa, che la settimana scorsa parevano avviati ad un rallentamento, hanno ripreso a salire:
In un anno, il costo del trasporto Shanghai-Rotterdam è aumentato di oltre 6 volte.
In definitiva, la situazione pessima dell’area non è legata semplicemente ai fatti del 7 ottobre 2023 e alla seguente reazione israeliana, ma è il risultato di anni di abbandono. Le sole cose che non mancano mai da quelle parti sono le armi. L’Operazione Aspides dell’Unione Europea nelle acque del Mar Rosso meridionale in sei mesi ha scortato 170 navi attraverso lo stretto di Bab el Mandeb e ha abbattuto 19 droni e missili Houthi. Gli ultimi abbattimenti risalgono al 7 luglio quando la fregata greca Psara ha distrutto due droni nel Golfo di Aden. Ma appare chiaro che un mandato limitato a questo non risolve nessun problema.
Investire continuando a puntare sul successo di Trump?
(#GL) Il “Trump trade” cederà il passo al “Harris trade”? Si è discusso di questo sui mercati oggi. Quali strumenti finanziari privilegiare in funzione della politica economica che Donald Trump potrebbe attuare se fosse eletto?
A questo domanda da qualche settimana – specialmente dopo il fallito assassinio di Trump di sabato 13 – gli investitori avevano risposto in modo chiaro. Puntare su azionario (soprattutto le società a bassa-media capitalizzazione); aspettarsi un rialzo dei rendimenti obbligazionari dei bond governativi, soprattutto quelli sulle scadenze più lunghe; puntare su un rafforzamento del dollaro e delle criptovalute.
Decisioni di investimento basate sull’ipotesi che Trump favorisca riduzioni delle tasse, un aumento dei dazi e un assetto regolatorio meno stringente sulle imprese. Con conseguenze sull’inflazione, almeno nel senso di non vederla ulteriormente scendere.
Queste tendenze erano fino a venerdì più nelle intenzioni che negli atti concreti. Erano più propositi che azioni.
Oggi, dopo il ritiro di Joe Biden, la reazione dei mercati su tutti i fronti (azionario, obbligazionario, valutario) è stata guardinga. C’è bisogno di tempo per capire se ricalibrare certe posizioni. Quindi i movimenti sono stati misurati. Ma tutti nella direzione indicata dal “Trump trade”.
Infatti, non ci sono ancora motivi concreti per credere che le (elevate) probabilità di vittoria di Trump abbiano subito un colpo dalla discesa in campo di Kamala Harris e quindi non è partito alcun rilevante riposizionamento dei portafogli.
Di certo c’è che il clamore mediatico creato da chi vedeva ormai Biden perdente e Trump alla Casa Bianca significa maggiore incertezza e volatilità. Anche perché delle scelte di politica economica della Harris si sa poco. Se non che non è molto amica dei petrolieri e dei produttori di gas.
Il rischio più serio in questi casi è quello di vedersi spacciare come analisi e previsioni qualcosa che invece è solo desiderio o aspettativa di una parte politica. Occhi aperti.
J.D. Vance, populista o conservatore? Tutti e due.
(#SG) La scelta di Donald Trump, se e quando eletto alla Casa Bianca, di fare di J.D. Vance il proprio vice è stata accolta dalla stampa europea con un certo sospetto e diffidenza. Almeno prima di bollarla come scelta retrograda e isolazionista, o direttamente filorussa (La Stampa, 15 luglio 2024).
Più si scava, però, più si comprende che, stando a ciò che si sa sinora, la figura di Vance potrà rappresentare un cambiamento profondo e duraturo nel partito repubblicano. Sembra una scelta mirata ad una prosecuzione del trumpismo in assenza di Trump, che potrebbe portare al ritorno di un conservatorismo allargato alle istanze popolari della classe lavoratrice.
Oltre alla sua età e alla sua originalissima storia personale, Vance porta ai repubblicani una chance importante: la possibilità di raccogliere le maggiori istanze trumpiane ripulendole dell’ingombrante personalità del Donald nazionale. Soprattutto in un’ottica futura, questo può gettare basi per un partito repubblicano “nuovo", che si riallaccia al Reagan prima maniera, prima che la sua visione economica fosse “pervertita” in iperliberismo senza freni dagli stessi repubblicani.
Vance è laureato a Yale ma è espressione della working class americana, non è un figlio di papà. È uscito da quello strato di povertà, prima contadina poi urbana, che oggi (a torto o a ragione) vede in Trump una speranza di riscatto.
A proposito di classi lavoratrici, Vance è un repubblicano atipico, favorevole ai sindacati (ma non ai grandi sindacati, visti come specchio delle grandi corporation), giustifica le restrizioni all’immigrazione con la necessità di mantenere un adeguato livello salariale interno, vuole pesanti sgravi fiscali per le famiglie. Favorevole ai dazi e al reshoring (rientro in patria) delle imprese americane che hanno delocalizzato nel globo, critico estremo degli accordi di libero scambio, propone di abbassare la cresta di Wall Street e di potenziare l’industria nazionale.
Tutte cose che fanno imbestialire l’ala libertaria dei Repubblicani e allo stesso tempo i Democratici, ma che vanno molto forte proprio tra i lavoratori americani. Chiamatelo pure populismo.
Come Trump, non vede l’Europa come strategica, se non nella misura in cui può dotarsi di una difesa adeguata (leggi: spendere per armarsi) ed essere un alleato più che un protettorato militare. La NATO piace poco a Vance, come a Trump, sia perché non ritiene che gli USA debbano essere il poliziotto mondiale, sia per il fatto che l’organizzazione è squilibrata. Il “pagate per la vostra difesa” di Trump, rivolto agli alleati (tra cui anche Taiwan) è lo stesso di Vance e non significa necessariamente disimpegno, ma semmai una richiesta di maggiore impegno dei partner rispetto a quello degli USA.
Nè Trump né Vance saranno mai “amici” dell’Europa (qualche presidente USA lo è mai stato davvero?), non nel senso che dalle nostra parti si dà al termine. Tantomeno lo saranno dell’Italia. Ma saperlo aiuta a prendere le misure di una situazione che da qui a qualche mese potrebbe essere concreta. Sarebbe utile un po’ di sano pragmatismo anche da questa parte dell’Atlantico, pure in quella lunga penisola che si distende nel Mediterraneo.
Investire, crescere e tagliare il deficit pubblico, allo stesso tempo?
(#GL) In Europa si stanno rendendo conto che tenere insieme crescita dell’economia, consolidamento fiscale e spinta sugli investimenti è un trilemma che esiste solo da noi. È irrisolvibile e ci ha già portato negli anni dieci ad essere una delle aree economiche avanzate con la minore crescita.
Ieri questa scoperta l’ha fatta il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe sul Financial Times e crede di avere la risposta giusta, che però è la solita “supercazzola prematurata con scappellamento a destra” alla Ugo Tognazzi.
Da un lato è convinto che sia cosa buona quella di ridurre rapporto deficit/PIL (nessun specifico riferimento all’Italia, per fortuna) dal 3,6% del 2023 (gli Usa viaggiano stabilmente tra il 6 e il 7%). Dall’altro ammette che una stima prudente degli investimenti necessari per la transizione energetica (in verità parla di cambiamento climatico, ma sorvoliamo sul dubbio nesso causale tra le due cose) e digitale e la difesa, si attesti intorno a 1.000 miliardi annui. E guai a pensare di deviare dai piani di riduzione del deficit e rientro del debito, previsti dal Patto di Stabilità riformato. Bisogna partire col piede giusto, avverte.
E allora come se ne esce? Completando con successo il Next Generation UE. Sì, avete letto bene. Un piano di investimenti e riforme per il quale ci sono voluti due anni solo per farlo partire e che, ad oggi, ha erogato agli agli Stati membri in tre anni solo 230 (di cui 102 all’Italia) miliardi su 850 pianificati. Solo se questo piano sarà un successo (ed è già un mezzo fallimento) si potrà pensare ad altre iniziative di debito comune (campa cavallo!).
Poi ci sarebbe l’unione del mercato dei capitali, per mobilizzare i capitali privati (cioè destinare i nostri risparmi verso gli impieghi decisi da loro). Per chi ci crede, si tratta dell’uniformità delle regole per le quotazioni e il controllo dei mercati, il diritto societario e il diritto fallimentare. Donohoe ritiene che ora ci sia la “volontà politica” per farlo, dopo anni di giacenza del progetto nel dimenticatoio.
Attenti a dove mettete i vostri risparmi, perché puntano a quelli.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it