OUT! n. 1 - 12/06/2024
Il senso delle maggioranze in Ue | Uniper batte Gazprom in tribunale | Salvagente Usa per Lagarde | Perché Macron scioglie il parlamento | Scholz sempre più giù | Le mani del G7 sulle riserve russe |
#elezionieuropee #commissione #parlamento #ue
Il Parlamento Europeo che si insedierà a breve vede come primo gruppo i popolari con 187 scranni seguito dai socialdemocratici con 136. Se i conservatori di Giorgia Meloni ed i sovranisti di Marine Le Pen unissero le loro forze arriverebbero a 143 seggi. E senza considerare Orban, che con ogni probabilità si unirà alla carovana mentre i tedeschi di AFD -seppur espulsi- rimarranno “allineati e coperti”. Ma ha senso parlare di maggioranze parlamentari in UE? Se quello di Strasburgo fosse un normale parlamento, si! E quest’ultimo può fare sostanzialmente due cose: (1) approvare nuove leggi di propria iniziativa e (2) dare e togliere la fiducia al governo se la repubblica è di tipo parlamentare.
Nessuna di queste prerogative appartiene però al Parlamento Europeo se non in minima parte. Le proposte di direttiva e regolamento può solo approvarle o emendarle o respingerle. E neppure da solo ma in condominio con il Consiglio dei ministri Ue competente in materia. Mentre la nuova normativa può scriverla la Commissione il cui presidente verrà nominato dal Consiglio Europeo (cioè dai governi dei 27 paesi membri che troveranno un accordo faticoso fra loro). Il Parlamento Ue -a maggioranza assoluta e scrutinio segreto- potrà solo approvare o respingere la proposta. Ma nessun sostanziale potere di sfiducia se la commissione non si comporterà “a modo” in futuro. Parlare di maggioranze non ha quindi senso se non al momento della nomina del Presidente di Commissione. Cioè, a breve. Dopodiché ognun per sé e Dio per tutti. Sui singoli dossier si confronteranno e scontreranno i vari gruppi. Talvolta in disaccordo non solo fra loro ma addirittura al loro interno. Ad esempio, il PPE su molte delicate materie nella scorsa legislatura riusciva sistematicamente a dividersi quasi sempre in tre parti uguali (favorevole, contrario e astenuto). Annamo bene! #FD
#Gas #Russia #Germania #prezzi
L’azienda tedesca del gas Uniper, salvata dal governo tedesco nel 2022, vince l’arbitrato internazionale contro Gazprom. La corte svedese adita dai tedeschi dà ragione alla compagnia europea, che però quasi certamente non vedrà un euro. La questione riguardava l’interruzione della fornitura di gas da parte di Gazprom già prima dell’esplosiva messa fuori servizio del gasdotto Nord Stream. La corte ha stabilito la giusta causa per la risoluzione dei contratti che legavano l’acquirente tedesco fino al 2035 e un indennizzo di 13 miliardi di euro. Cifra legata agli acquisti spot (a prezzi folli) che la compagnia ha dovuto effettuare dopo la sospensione della fornitura nel 2022. Uniper si libera del fardello dei contratti, segna a bilancio un credito di fatto inesigibile e può tornare ad affacciarsi in borsa. Il governo tedesco potrà rientrare di qualcosina. Nessuna reazione da Mosca (sono una dozzina gli arbitrati in corso tra aziende europee e Gazprom).
Il prezzo del gas al TTF intanto torna a salire, da qualche settimana. Il terminale LNG di Livorno è in manutenzione fino a ottobre e questo provoca un leggero aumento dell’import da Tarvisio, cioè dalla Russia. L’austriaca OMV ha avvisato di essere sul punto di smettere di pagare Gazprom, la domanda di LNG asiatico ha ripreso e questo può sottrarre qualche carico spot all’Europa. Inoltre, si va verso un altro pacchetto europeo di sanzioni alla Russia, che impedendo i trasbordi in Europa fa alzare per i russi i costi dello shipping LNG verso l’Asia. Per questo i prezzi al TTF salgono e la volatilità è in aumento. #SG
#Lagarde #Bce #Tassi #Fed #Usa #inflazione
Se periodicamente non arriva la solita ciambella di salvataggio dai dati Usa, Christine Lagarde non riesce a nuotare.
Dove il salvagente è costituita da indicatori che fanno aumentare la probabilità di uno (forse due) tagli dei tassi da parte della Fed entro fine anno e la capacità di nuotare è rappresentata dall’autonomia della Bce nel procedere lungo la strada del taglio dei tassi, appena cominciata giovedì scorso.
Oggi l’aiuto è arrivato dall’indice dei prezzi al consumo Usa invariato su aprile ’24 e +3,3% su maggio ’23. Mentre l’indice “core” (netto energia e alimentari) ha fatto segnare +0,2 % su aprile ’24 e +3,4% su maggio ’23. Appena 0,1 punti in meno rispetto alle attese e al dato di aprile, ma sufficienti per scatenare la reazione dei mercati.
Rendimenti del decennale italiano, tedesco e Usa tutti in discesa di circa 10/15 punti ed euro in deciso rafforzamento sul dollaro, di nuovo sopra 1,08.
Movimenti la cui rapidità ed ampiezza lascia davvero perplessi ed è segnaletica di quanta sensibilità e nervosismo ci siano sui mercati verso il futuro sentiero dei tassi.
In tutto questo, gli investitori sono convinti che la Bce, da sola, non vada da nessuna parte e non possa reggere a lungo un sentiero di riduzione strutturalmente divergente rispetto agli USA, che invece sembrano avviati – a seconda dei dati pubblicati – ad una stabilità dei tassi o una modesta riduzione.
Allora la Lagarde deve fingere di essere anche lei attendista, per tenere in piedi il cambio dell’euro. Ma così facendo toglie agli investitori l’unico motivo che hanno per comprare titoli governativi europei: un credibile sentiero di riduzione dei tassi.
Che diventa sostenibile solo se taglia anche la Fed, altrimenti alla Lagarde non crede nessuno ed il debito governativo offre più rischi che guadagni. Oggi le è andata bene. Ne riparliamo ai prossimi dati. #GL
#elezionieuropee #commissione #parlamento #ue
Dentro al Parlamento Ue non ci sono stati grandi terremoti. Votando col proporzionale in 27 paesi diversi contemporaneamente, tutto si attenua e riequilibra. Ma in Francia dopo il clamoroso successo di Marine Le Pen, Macron scioglie il parlamento e convoca elezioni anticipate nel giro di 20 giorni. La mossa appare disperata ma niente affatto insensata. Il tempo è poco e potrebbe crearsi un’alleanza trasversale contro i “fascisti” di RN. Calcolo all’apparenza fallito perché i gollisti hanno sorprendentemente aperto ad un’alleanza con RN. Rimane un secondo scenario. I numeri francesi non sono tranquillizzanti. Dal 2009 al 2019 Parigi ha mediamente registrato un deficit primario annuo (prima degli interessi sul debito) pari al 2,3% del PIL. Dopo il Covid il numero è ovviamente cresciuto. L’Italia, giusto per darvi un’idea, ha registrato un surplus dell’1,1%. Mentre cioè la Francia immetteva risorse nell’economia, noi ne abbiamo tolte per 200 miliardi circa.
Facendo come Parigi avremmo invece iniettato oltre 400 miliardi di risorse nelle tasche di famiglie e nelle casse delle imprese. Il punto però è che la Francia, a differenza dell’Italia, ha accumulato un enorme passivo commerciale con l’estero (-0,60% del Pil ogni anno). A differenza dell’Italia dove invece le politiche di austerità hanno fatto il loro sporco lavoro. L’import è diminuito con “la distruzione della domanda interna” (per dirla alla Monti) tanto che l’Italia ha un surplus annuo medio intorno all’1%. Sembrano decimali ma sono numeri enormi soprattutto se accumulati anno dopo anno. A questo si aggiunga che l’export è cresciuto grazie alla vitalità della nostra manifattura. Il defcit gemello francese (di bilancio e di bilancia commerciale) non può durare all’infinito. Per riequilibrare i conti con l’estero l’eventuale governo sovranista avrà due alternative (1) fare austerità all’italiana facendo però arrabbiare e molto gli elettori (2) rottamare il nuovo patto di stabilità. Ma il debito estero rimarrà comunque un problema irrisolvibile senza un’uscita dalla moneta unica e svalutando il franco. Solo così potrà riequilibrare la bilancia commerciale. Altrimenti non rimangono che le lacrime ed il sangue per i contribuenti francesi. Ovviamente Macron scommette sul primo scenario. Ça va sans dire. #FD
#Germania #dazi #BDI #Scholz
Bruxelles alza i dazi sulle auto elettriche importate dalla Cina (quindi anche sui marchi occidentali con fabbriche in Cina). Con l’usuale attenzione maniacale al dettaglio, tipica di Bruxelles, i dazi sono scalettati sino al decimale e rivolti a ben individuate aziende. Chi si trova peggio di tutti è la Germania, che ora teme le ritorsioni di Pechino. Scholz ha fatto da pompiere in questi giorni, avvisando del pericolo di una guerra commerciale, ma a quanto pare è più forte l’urgenza di proteggere il nascente “mercato” sussidiato europeo e di dare un segnale all’alleato americano. La posizione del governo Scholz è sempre più difficile, pressato com’è su guerra in Ucraina, budget 2025, produzione industriale a picco e un risultato elettorale devastante, con la coalizione a tre che regge il governo piombata al 31% dei voti validi alle elezioni europee di domenica. La crisi del modello tedesco è conclamata, tanto che in queste ore la BDI (la Confindustria tedesca) denuncia la drammatica situazione di sotto-investimento in cui versa il paese: “La Germania ha investito troppo poco per decenni e ora deve far fronte a nuove esigenze di investimenti” ha affermato il capo di BDI Siegfried Russwurm. Peccato però che subito dopo Russwurm affermi che il freno al debito va mantenuto e che piuttosto la spesa pubblica deve essere razionalizzata. La solita vecchia storia tedesca, insomma: spendere senza spendere. Pare che funzioni. #SG
#Russia #G7 #Asset #Sequestro #Flop #Usa #UE
La vicenda ormai stucchevole degli asset della Banca Centrale russa detenuti in Europa e sequestrati da oltre due anni sembrava una commedia, ma ora sta assumendo i contorni della farsa.
Dopo mesi e mesi di discussioni e valutazioni di ipotesi, era previsto che il summit del G7 in Puglia fosse l’appuntamento giusto e decisivo per definire il dossier. Invece le ultime autorevoli indiscrezioni lasciano ipotizzare che non si riuscirà a cavare un ragno dal buco e tutto appare ora rimandato al prossimo autunno. Un mezzo flop, oppure ognuno farà per sé.
Nel frattempo i danni sono già visibili. Un report della Bce, pubblicato oggi, mostra che le riserve denominate in euro dalle altre banche centrali mondiali, sono diminuite di 100 miliardi, in calo del 5%, con la quota dell’euro sui minimi del triennio al 20%. Nemmeno i giapponesi e gli svizzeri si fidano più nel tenere le riserve in euro.
Da Kiev insistono per confiscare tutto (circa 200 miliardi solo in Europa, 260 miliardi in tutto), gli USA hanno proposto un piano in occasione del G7 dei ministri economici a Stresa, ma a Bruxelles le resistenze addirittura aumentano.
Infatti, se un veicolo finanziario (la World Bank?) emettesse obbligazioni per 50 miliardi di dollari per prestare quelle somme all’Ucraina, chi garantirebbe i compratori di obbligazioni per il rimborso di interessi e capitale?
Con i proventi delle attività finanziarie russe sequestrate, rispondono dagli USA. Trascurando alcuni dettagli: cosa accadrebbe se quei proventi non fossero sufficienti o se gli asset fossero dissequestrati nell’ambito di un accordo di pace? Toccherebbe ai contribuenti europei garantire con il bilancio UE, perché da Washington hanno già fatto sapere che i contribuenti USA sono indisponibili. Ma poi sarebbero i fornitori USA in prima linea per armi e ricostruzione. Un affare simile alla vendita della fontana di Trevi, ma stavolta ce la stiamo “comprando” noi. #GL
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it
Vi seguo da anni e vi faccio i complimenti, sempre chiari e diretti (purtroppo poco ascoltati....). Bene questa nuova iniziativa.
Buon lavoro!
rn