OUT! n. 11 - 26/06/2024
Occupazione. Bicchiere mezzo pieno? | Trump e la vicepresidenza | In Europa a testa alta | A cosa punta Marina Berlusconi? | Germania, giù i prezzi delle case | Nell'euro non si entra |
Occupazione: bicchiere mezzo pieno?
Poco meno di due settimane fa Istat ha pubblicato i dati trimestrali sul mercato del lavoro che, rispetto alle stime mensili, offrono un quadro informativo più stabile. A fine marzo 2024 in Italia gli occupati erano pari ad oltre 23,8 milioni di persone. Circa 700mila persone in più rispetto a settembre 2022 quando Giorgia Meloni stava per insediarsi a Palazzo Chigi dopo aver vinto le elezioni. Ricorderete che Silvio Berlusconi scandalizzò tutti nel lontano 1994 promettendo un milione di nuovi posti di lavoro nel giro di cinque anni. Ebbene sotto il regno di Giorgia ne sono stati creati 700mila circa e non siamo ancora a metà legislatura. Niente male davvero. Si consideri poi che i 23 milioni ed 820 mila occupati (si fa prima a dire quasi 24 milioni) sono il massimo storico mai toccato dal 2004; da quando cioè questo dataset viene trimestralmente diffuso da Istat. L’interrogativo che intendo proporvi è questo: è tutto oro ciò che luccica? La domanda è retorica e la risposta è scontata: no! È un buon risultato che però va letto in controluce con altri numeri. Uno di questi è la cosiddetta “unità di lavoro”. Nel linguaggio del nostro Istituto di statistica rappresenta “la quantità̀ di lavoro prestata nell’anno da un occupato a tempo pieno. Esprime cioè il numero di ore annue corrispondenti ad un’occupazione esercitata a tempo pieno”. Ve la faccio semplice e piatta che più piatta non si può. Due persone che lavorano quattro ore al giorno sono due occupati. Otto persone che lavorano un’ora al giorno sono otto occupati. Ma entrambi i gruppi (sia quello composto da due lavoratori che quello composto da otto) rappresentano un’unità di lavoro ciascuna. Come del resto lo sarebbe la persona che lavora da sola otto ore al giorno, perché lo standard convenzionale è che appunto una persona lavori otto ore al giorno. Creare otto posti di lavoro da otto ore al giorno non è la stessa cosa che crearne otto da un’ora. Ecco perché si parla di unità di lavoro. Ebbene a fine 2023 in Italia si impiegavano grosso modo le stesse unità di lavoro che venivano utilizzate a fine 2008 nel mentre stava scoppiando la grande crisi finanziaria conseguente al crack Lehman. Ma rispetto ad allora gli occupati sono cresciuti di quasi un milione. Un milione di italiani in più che lavorano grosso modo quanto lavoravano gli italiani nel 2008 che però erano appunto un milione in meno. C’è da fare, cantava l’altra Giorgia. #FD
Trump e la vicepresidenza
Tanti candidati, nessun candidato. Sui media americani si fa un gran parlare dei nomi per la vicepresidenza che Donald Trump starebbe vagliando. Alcuni, davvero improbabili, sembrano messi nel mazzo apposta per nascondere la figura che ha più possibilità di essere scelto. Ma molto dipenderà dal dibattito televisivo tra Trump e Joe Biden di domani notte. Perché se è vero che Trump è in vantaggio nei sondaggi, una sua performance scadente nel dibattito potrebbe richiedere uno sforzo supplementare nella ricerca di consensi, e dunque la scelta di un vicepresidente non di pura testimonianza (come potrebbe essere il milionario pallido Douglas Burgum), ma capace di orientare voti in maniera determinante.
Il candidato migliore, da questo punto di vista, sarebbe Marco Rubio, 53 anni, senatore della Florida, figlio di immigrati cubani. Senatore repubblicano rappresentante della Florida al Congresso per tre mandati, in precedenza membro della camera dei rappresentanti di quello stato e commissario cittadino di west Miami. Una scelta, quella di Rubio, che porterebbe acqua latina al mulino di Trump. Uno statunitense su cinque è ispanico, circa 62 milioni di persone, la metà dei quali vota e proprio gli ispanici sono determinanti per la vittoria negli Stati del southern rim – quelli meridionali dall’Atlantico alla California. Rubio può fare presa in maniera determinante sugli elettori latini in Arizona e Nevada.
Gli ispanici tradizionalmente sono un bacino elettorale democratico, e pescare elettori tra gli avversari è doppiamente vantaggioso per chiunque. Si stima che negli USA circa 43 milioni di ispanici su 62,5 milioni in casa parli prevalentemente spagnolo. Non si tratta solo di lingua, ma di cultura. Una cultura che Rubio rappresenta molto bene, con in più il grande vantaggio di una ampia pratica politica: ha infatti una lunga esperienza come presidente e ed ora vicepresidente dell’Intelligence Committee del Senato, un comitato strategico molto importante con una proiezione estera. Nonostante i dissapori del passato con Trump (Rubio si presentò alle primarie repubblicane nel 2016 contro Trump, che lo definì “little Marco”) il senatore della Florida sarebbe la scelta migliore, anche se questo significherebbe per Trump convivere con una figura politica di spicco. Una vicepresidenza a Rubio però sarebbe un ottimo viatico per una candidatura dello stesso alle presidenziali successive.
C’è solo un piccolo problema (che peraltro riguarderebbe altri due possibili papabili vice, gli afroamericani Ben Carson e Dyron Donalds): la residenza in Florida. Il 12° emendamento alla Costituzione americana sancisce che i candidati alla presidenza e alla vicepresidenza “non devono essere abitanti dello stesso stato”. Trump ha preso la residenza in Florida nel 2019 e Rubio è di Miami. Il senatore dovrebbe quindi cambiare residenza prima di essere scelto da Trump. Può farlo, certo, come fece Dick Cheney, texano, quando fu scelto come vice da George W. Bush. Rubio potrebbe spostare la residenza a Washington, dove è quando lavora al Senato, o in qualche Stato che ha requisiti morbidi per ottenere la residenza, come il South Dakota. Sarà il dibattito televisivo di domani notte a dirci di più. #SG
In Europa a testa alta. Piaccia o no.
Giorgia Meloni, nelle ore che precedono il Consiglio Europeo di domani e dopodomani, non avrebbe potuto lanciare un messaggio più chiaro. Sia sul fronte esterno che su quello interno.
A Bruxelles l’aria è cambiata e se ne deve prendere atto. Francia e Germania si presentano politicamente a pezzi e l’Italia non è più la “I” dei famosi PIGS dell’inizio dello scorso decennio. Di conseguenza non può continuare tutto come se nulla fosse accaduto.
Merita riproporre le sue parole: “Se vogliamo rendere un buon servizio all’Europa e alla sua credibilità, dobbiamo dimostrare di aver compreso gli errori del passato e avere in massima considerazione le indicazioni che sono arrivate dai cittadini con il voto. E se anche qualcuno preferisce ignorarle, quelle indicazioni sono molto chiare: i cittadini chiedono un’Europa che sia più concreta e che sia meno ideologica.”
E se – come sta accadendo con il susseguirsi di notizie su presunti “accordi fatti” (addirittura in videoconferenza…) – qualcuno preferisse tirare dritto, allora arriva l’avvertimento: “l’errore che si sta per compiere, con l’imposizione di questa logica, e di una maggioranza, tra l’altro, fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura europea, è un errore importante. Non per la sottoscritta, o per il centrodestra, e neanche solo per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte, o che la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose.”
In altre parole “…potrebbero accadere cose spiacevoli…”. Perché l’architettura istituzionale della UE, con il suo intreccio di decisioni all’unanimità, a maggioranza qualificata, triloghi tra Commissione, Parlamento e Consiglio, semplicemente non permette a nessuno di avventurarsi a colpi di maggioranza. A partire dall’elezione del Presidente della Commissione a scrutinio segreto da parte del Parlamento. Per poi proseguire con le codecisioni legislative che diventerebbero un Vietnam.
L’obiettivo è quello di “lavorare per vederci riconosciuto ciò che spetta all’Italia come Nazione, non al Governo, non a questo o a quel partito, ma alla Nazione. Non sempre quel peso ci è stato adeguatamente riconosciuto in passato, ma il messaggio che i cittadini ci hanno consegnato con il voto è un messaggio chiaro, e non intendo farlo cadere nel vuoto”.
Volete schiantarvi? Accomodatevi pure. #GL
A cosa punta Marina Berlusconi?
Marina Berlusconi lancia uno spin off in casa Mondadori: la Silvio Berlusconi Editore. Nelle sue parole è “un progetto editoriale che vuole dare più forza al pensiero liberale e democratico” la cui mission aziendale sarà quella di offrire “una selezione ristretta di titoli ma di indiscutibile qualità”. Più volte incalzata nell’intervista sul Corriere, Marina nega sistematicamente che questa mossa abbia un valore politico perché il mestiere suo è quello di “pubblicare libri ben fatti che incontrino l’interesse dei lettori e diano voce alle istanze della società”. Un’opera di testimonianza del pensiero del padre insomma, perché, secondo Marina, “l’Occidente sta vivendo una terribile crisi d’identità” dove gli studenti protestano “in favore di Hamas”. Ragazzi che dimostrano un “disprezzo profondo” verso il nostro mondo. Marina definisce la “cancel culture” come una sorta “malattia autoimmune” secondo cui “tutto quello che la nostra civiltà ha costruito è da buttare”. Fin qui sembrerebbe il pensiero di un’imprenditrice con valori ancorati stabilmente a destra. Quindi nella parte di campo dove si schiera Forza Italia. Eppure, l’intervista rivela uscite non nuove e che giustamente fanno il titolo. Dopo aver detto che talvolta aveva “opinioni diverse” rispetto al padre, Mrina pensa che “a Bruxelles si debba fare una riflessione seria molto profonda. Dietro il diffondersi di certe simpatie antidemocratiche c’è anche una crescente insofferenza, quasi una rabbia, verso l’Europa del troppo controllo, del dirigismo e della burocrazia”. Si noti che quando parla di forze antidemocratiche Marina allude alle cosiddette destre. Quindi anche a Lega e Fdi che sono alleate di Forza Italia? Marina professa vicinanza alle questioni dei “diritti civili” nonché “aborto, fine vita o diritti Lgbtq” temi sui quali si sente “più in sintonia con la sinistra di buon senso”. Impossibile non leggere in controluce queste dichiarazioni. Sono la semplice linea politica di Forza Italia di cui Marina è comunque la garante? O il pensiero di un nascente progetto politico che mira a rafforzare l’area di centro cercando di scomporre i due poli, destra e sinistra? Marina ha di sicuro le carte in regola per tentare quest’operazione e per ben tre motivi. Primo, perché ha il cognome giusto. Secondo, perché Forza Italia è tutto sommato in salute. Terzo, perché gestisce comunque un importante gruppo nel mondo della comunicazione. Ma vi sono motivi altrettanto pesanti che rendono l’operazione più complicata rispetto a ciò che fece il padre Silvio. Oggi le televisioni non sono importanti come allora, quando i canali televisivi erano sei e Silvio ne possedeva tre. Oggi le reti sulle varie piattaforme sono centinaia ed i ventenni di oggi, rispetto a quelli di allora, non sono cresciuti “a pane e Drive In”, ma a “pastasciutta e social network”. In più questo progetto, ammesso che tale sia, non intercetta quello che è il comune sentire della maggioranza silenziosa incredibilmente arrabbiata verso l’Europa. Maggioranza silenziosa con cui invece Silvio aveva un rapporto di straordinaria simbiosi e vicinanza. Insomma, quella di Marina ha tutta l’aria di essere un’intelligente operazione di posizionamento politico. Molto manageriale, per intendersi. Ma non sembra l’epopea dirompente del padre Silvio. Molto imprenditoriale, per capirsi. Vedremo! #FD
Germania, immobiliare giù
Un altro tonfo. I prezzi degli immobili residenziali in Germania nel 1° trimestre 2024 sono scesi del 5,7% rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente e dell’1,1% rispetto al quarto trimestre 2023, dice l'Ufficio federale di statistica (Destatis). Si tratta del sesto trimestre consecutivo di prezzi in calo.
Secondo l’indice immobiliare tedesco (GREIX), curato dall’Istituto di Kiel, il calo è dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e del 5,4% rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno relativamente agli appartamenti. Il numero delle transazioni immobiliari resta basso: rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente, il numero è aumentato leggermente del 10%, ma la media di tutti i segmenti residenziali è solo del 40% rispetto al livello medio osservato nel periodo 2019-2021.
Il dato GREIX delle singole città è interessante: Colonia (+2,4%) e Francoforte (+2,2%) hanno registrato un andamento al rialzo dei prezzi, Berlino (-1,9%) e Stoccarda (-1,4%) un andamento al ribasso. Il maggior calo dei prezzi rispetto al picco si registra a Stoccarda (-21,8%) e Monaco (-17,1%).
La differenza di prezzo tra le case situate in zone centrali e quelle in zone periferiche è particolarmente marcata a Colonia, dove il prezzo medio in centro è di 5.600 €/mq mentre in periferia è di 2.800 €/mq. Situazione simile ad Amburgo.
Anche se il rapporto tra i prezzi in centro e quelli in periferia è di 1,7, meno che a Colonia, la città di Monaco fa storia a sé. Qui, il prezzo al metro quadrato nel quartiere più economico di Perlach-Berg am Laim, con 7.200 euro/m², supera il prezzo al metro quadrato del quartiere più caro di qualunque altra grande città tedesca. Nel quartiere più caro di Monaco, Altstadt-Maxvorstadt, il prezzo medio al metro quadrato è di 12.100 euro.
I punti chiave della crisi immobiliare tedesca sono due. Il primo è la carenza di alloggi. Secondo l’IFO il 16,6% delle famiglie tedesche vive in condizioni di sovraffollamento*.
Il secondo è la crisi del comparto edilizio residenziale, in calo di ordini da fine 2021.
L’indice della situazione imprenditoriale nell'edilizia residenziale in Germania è a -46,4 punti, dopo un rimbalzo dai minimi di -55. Materie prime e tassi di interesse hanno fatto saltare il banco. Ora, dice l’IFO, servono incentivi, come detrazioni fiscali. Poi, sempre secondo IFO, la revisione degli standard edilizi è fondamentale per ridurre i costi di costruzione. In terzo luogo, i permessi di costruire che le amministrazioni non riescono a elaborare entro un termine stabilito dovrebbero essere approvati automaticamente e, in quarto luogo, più terreno dovrebbe essere destinato alla costruzione. Tutte cose difficili da fare, sia per lo zoppicante budget tedesco per il 2025, sia per le pretese green. Soprattutto, siamo di fronte a un redde rationem: arriva il conto della cronica insufficienza di investimenti pubblici netti in Germania, che dal 1998 al 2017 sono stati in media pari allo 0% del PIL .
*Statisticamente un'abitazione è considerata sovraffollata se conta più componenti del nucleo familiare che stanze #SG
Nell’euro non può (vuole) entrare nessuno
Cosa accomuna Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca, Svezia, Polonia, Ungheria e Danimarca? Tutti sono Stati membri dell’UE, i primi sei avrebbero l’obbligo di usare l’euro ma non lo fanno, i primi due Paesi vorrebbero usarlo, gli altri quattro non ci pensano nemmeno, e l’ultimo ha deciso sin dall’inizio di starne fuori.
La notizia di oggi è che la Bce e la Commissione nel loro rapporto biennale sullo stato dei progressi di questi Paesi verso l’adozione dell’euro come moneta, li hanno bocciati tutti. Sia quelli che aspiravano ad entrare entro il 1 gennaio prossimo, sia quelli che – in barba all’obbligo previsto dai Trattati, che però non ha scadenza – dovrebbero comunque farlo.
La valutazione di Bce e Commissione si basa su una serie di parametri economici (inflazione, deficit, debito, stabilità del cambio e dei tassi di lungo termine) e istituzionali (compatibilità delle leggi nazionali con i Trattati). La decisione brucia particolarmente per il governo di Sofia che credeva di soddisfare tutti i parametri ed invece è stata bocciata per l’inflazione superiore al livello obiettivo (5,1% contro 3,3%). Per la Romania invece bocciatura su tutta la linea.
Appare evidente che sulla Bulgaria abbiano anche pesato considerazioni di natura diversa, legate all’instabilità politica (sei elezioni in tre anni!) e soprattutto legate all’elevata corruzione ed esposizione all’influenza russa ed ai grandi flussi internazionali di riciclaggio di denaro sporco.
Deve far riflettere come sia possibile per questi sei Paesi - le cui economie hanno dimensioni paragonabili a quelle di regione italiana - “sopravvivere” senza l’euro e avere parametri macroeconomici ampiamente divergenti rispetto a quelli degli altri Stati membri. Ancor di più sorprende che cechi, svedesi, polacchi e ungheresi si guardino bene dal convergere verso i livelli obiettivo di quei parametri. Ma anche la Bulgaria è divisa, come ha mostrato un recente sondaggio (49% si, 49% no).
Forse temono di distruggere le rispettive economie? #GL
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it
A proposito della parte su Marina B.: le TV contano ancora, la popolazione tende ed invecchiare, cioè la percentuale della popolazione e di età oltre soglia cresce e crescerà, quindi essendo la TV il medium "degli anziani" il suo peso in termini di orientamento della opinione mainstream permarrà e probabilmente aumenterà anche un po'. PS: se poi fosse vero che la popolazione più attempato ha maggiore propensione alla partecipazione al voto...