OUT! n. 14 - 01/07/2024
Viva la desistenza francese | Francia, arriva la realtà | I mercati non hanno (più) paura| Transizione digitale batte transizione verde | La Cina stringe sulle terre rare |
Viva la desistenza francese
(#FD) Le grandi manovre in vista dei ballottaggi alle elezioni legislative in Francia sono iniziate dopo nemmeno dieci minuti che le prime proiezioni venivano diffuse. E’ stata infatti annunciata l’alleanza fatta a colpi di desistenza fra l’estrema sinistra (con dentro Melenchon) e i liberali -anzi i veri liberali- di Macron. Tutti uniti per sbarrare la strada al fascistissimo Rassemblement National. Dei 577 scranni ne sono intanto già stati assegnati 75. Precisamente in quei collegi dove chi è arrivato primo ha ottenuto il consenso della maggioranza dei voti validi espressi e contemporaneamente almeno il 25% degli elettori registrati. Una di questi vincitori è stato Marine Le Pen mentre, ad esempio, l’ex presidente Hollande deve aspettare il ballottaggio. Laddove non si è avuto questo risultato sono andati al secondo turno i primi due classificati ed anche chi, non rientrando fra questi, ha ottenuto i voti di almeno il 12,5% degli elettori iscritti. Quindi significa che molti ballottaggi avranno tre o quattro candidati. Dei 502 collegi dove si darà battaglia il prossimo 7 luglio, la destra di Bardella candidato Primo Ministro correrà in 398; ed in 299 parte in testa. Per arrivare alla matematica maggioranza di 289 scranni, al RN di seggi ne mancano 251 avendone già vinti 38 al primo turno. La sfida non appare proibitiva ma neppure scontata. Laddove gli ammessi al ballottaggio siano più di due infatti, il terzo incomodo (se appartenente all’estrema sinistra o ad Ensemble di Macron) si farà da parte per convergere sull’improbabile alleato dell’ultim’ora. L’operazione machiavellica non è detto che però riesca. Secondo un accurato sondaggio di Ipsos, un elettore su due fra quelli di Ensemble non gradisce indicazioni di voto. Ed un altro 32% non sarebbe disponibile a votare un candidato del fronte popolare di sinistra se espresso da Melenchon. Solo un 12% voterebbe senza riserve un candidato di sinistra qualunque esso sia. Addirittura, un 5% di chi ha votato Macron, opterebbe per Bardella. Che si possa far cambiare agli elettori idea così repentinamente dopo una campagna elettorale infuocata appare insomma più facile a dirsi che a farsi.
Francia, arriva la realtà
(#SG) Comunque vada a finire il secondo turno delle elezioni, la Francia è al redde rationem. Che dall’8 luglio vi sia un governo di RN o un pateracchio Mélenchon-macroniano, il confronto con la realtà per Parigi è ineluttabile.
Il voto di massa alla destra di Le Pen-Bardella è la conseguenza del progressivo impoverimento dei francesi: non essendoci nessun partito a sinistra a farsi carico del problema, le classi subalterne gramscianamente intese si sono rivolte a chi ha dimostrato di ascoltarle. Piaccia o meno, il successo della destra in Europa è il frutto (per qualcuno avvelenato, per altri dolce) dell’abiura della sinistra, che ha sposato il capitale globale e abbandonato a sé stesso il lavoro. Che non è solo quello dei lavoratori dipendenti, ma è anche il lavoro autonomo, visto sempre con malcelato disprezzo a sinistra.
L’Europa è il mito aggrappandosi al quale la sinistra europea ha cercato di conservare i brandelli di potere che era riuscita ad afferrare, cercando di salvare sé stessa una volta abbandonata la difesa delle istanze dei lavoratori. Avendo aderito al mito, ha cercato poi di venderlo agli elettori, riuscendoci anche, per lungo tempo. L’impoverimento di massa dell’Europa è la conseguenza delle politiche di austerità e di deflazione salariale connaturate alla moneta unica, studiata a misura del mercantilismo tedesco. La sinistra ha sposato con entusiasmo questo modello, mascherandolo con richiami etici come la “responsabilità” e l’avere vissuto “al di sopra dei propri mezzi”.
Negare la realtà però non è un gioco che può durare per sempre. Questa è la posizione patrimoniale netta sull'estero di Francia, Germania e Italia in % sul PIL: la Francia nel 2023 sta a -29,4%:
Con un saldo della bilancia commerciale che negli ultimi 25 anni è stato questo:
e con questo andamento del rapporto deficit/PIL:
Con questa situazione la Francia si trova in un vicolo cieco da cui può uscire solo scavando. La correzione della posizione finanziaria netta nei confronti dell’estero passa per un recupero di competitività che sarà molto doloroso, in assenza della leva del cambio. Mentre non si parla che di deficit e debito pubblico, la vera dinamite nei conti francesi sta nello stock di debito verso l’estero. Oltralpe si preannunciano cinque anni interessanti.
I mercati non hanno (più) paura
(#GL) Sospiro di sollievo dei mercati finanziari dopo il primo turno delle elezioni legislative francesi. Tra gli scenari possibili, solo uno sarebbe stato in grado di provocare particolari tensioni. Quello della vittoria del Fronte Popolare.
Così non è stato. Perché Melenchon e compagni si sono fermati circa 5 punti percentuali sotto il Rassemblement National di Marine Le Pen e non dovrebbero superare i 200 seggi anche dopo il secondo turno, mentre il RN potrebbe arrivare a 270 seggi che comunque non è la maggioranza assoluta (290 seggi).
Allora segnale di scampato pericolo e rendimento del OAT decennale che aumenta marginalmente come fanno tutti quasi tutti i governativi, trainati dal decennale Usa. Infatti nel primo pomeriggio la Corte Suprema Usa ha riconosciuto a Donald Trump alcune immunità penali e questo ha aumentato le sue possibilità di vittoria a novembre. Uno scenario che porterebbe, secondo Morgan Stanley, a un irripidimento della curva dei tassi. L’Europa ha subìto il contraccolpo, e il bond francese ha solo marginalmente ridotto lo spread col Bund tedesco da 80 a 75. Mentre la Borsa di Parigi ha fatto segnare un robusto rimbalzo. Lo spread tra OAT e Btp resta ai minimi storici intorno a 75 punti.
Qualche giorno fa un report della banca BNP Paribas prevedeva esattamente questo: rimbalzo dei mercati in caso di stallo, moderata preoccupazione per la vittoria del RN e turbolenza in caso di vittoria del Fronte Popolare. È andata così, se non fosse per gli Usa che un po’ hanno rovinato la festa.
Ma è al Bund tedesco che bisogna guardare per comprendere le reazioni dei mercati. Subito dopo la disfatta alle europee e l’annuncio delle elezioni anticipate, il rendimento era sceso per l’ondata di acquisti alla ricerca del porto sicuro. Oggi, dopo l’esito delle elezioni francesi, il Bund è stato venduto e il rendimento (2,60%) è tornato quasi vicino a quello ante 10 giugno.
Questo nonostante la maggioranza assoluta del RN sia improbabile ma ancora possibile. Allora, nonostante, tutti i messaggi per terrorizzare l’elettorato, questo significa che Le Pen e Bardella abbiano, agli occhi degli investitori, una relativa credibilità e si creda che possano far ripartire la crescita della Francia. Se fossero stati ritenuti dei dannosi sprovveduti, oggi avremmo visto ben altri movimenti.
La transizione digitale uccide la transizione verde
(#FD) Un’indiscrezione del WSJ riporta che negli Stati Uniti circa un terzo delle centrali nucleari esistenti siano oggetto di trattativa perché forniscano l’energia che serve ai data center. Questi hanno infatti bisogno di corrente, ma tanta corrente, per far fronte ai boom di consumi connessi con l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Stiamo parlando di una trentina di centrali nucleari in tutto, visto che gli USA ne ospitano in casa 93. Quasi un quarto delle circa 400 centrali presenti in tutto il mondo. Il più attivo in queste trattative è Jeff Bezos che con la sua Amazon Web Services ha acquistato un data center esteso quasi cinque Km quadrati ed adiacente alla centrale nucleare di Salern Township situata nella contea Luzerne in Pennsylvania. Per motivi imperscrutabili questi centri affamati di energia sorgono infatti accanto alle centrali nucleari piuttosto che vicino ad un campo di verdissimi pannelli fotovoltaici. Secondo un recente studio McKinsey, se un Data Center tradizionale ha bisogno di una potenza di 12 Kw, il fabbisogno sale addirittura ad 80 se si vuole implementare l’Intelligenza Artificiale in fase di start up e training per poi assestarsi a 40 Kw una volta che il centro sarà a regime. Secondo Bloomberg NEF, il consumo annuo di energia elettrica di tutti i data center nel mondo arriva addirittura a 350 Twh. Più di quanto consuma l’intera economia italiana. Transizione green e digitale sembrano insomma gemelle nella narrazione mainstream. In genere vengono rammentate in coppia quasi fossero inseparabili gemelli siamesi. Ed invece più che passa il tempo e più sembrano Danny De Vito ed Arnold Schwarzenegger. Gli improbabili gemelli in film cult degli anni 90.
Cina, il governo stringe sulle terre rare
(#SG) L’agenzia Xinhua ha reso noto che il governo cinese ha adottato un regolamento, in 32 articoli che disciplina lo status e le modalità di sfruttamento delle terre rare sul territorio cinese. Il regolamento si preoccupa innanzitutto di chiarire che le risorse appartengono allo stato e nessun individuo o organizzazione privata può reclamare diritti sui materiali. Poi si attribuisce allo stato, con la collaborazione dei governi locali, il controllo dell’attività di estrazione e raffinazione delle terre rare, così come il controllo della circolazione, la tracciabilità, l’import e l’export. Probabilmente tutto ciò non era sufficientemente chiaro.
In pratica, il governo retto dal premier Li Qiang dal 1 ottobre diverrà il dominus pieno e incontrastato su tutto ciò che riguarda le terre rare. Una stretta che si inquadra nel crescendo di tensioni con l’Occidente sulle tecnologie per la transizione, energia, digitale e sicurezza in primis.
Una risposta agli annunciati dazi americani ed europei. Tanto più appare fondamentale che l’Occidente lavori sulla ricerca di un’autonomia strategica sui minerali critici, uscendo dall’ambiguità del green ad ogni costo. Non ogni costo è sopportabile.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it