OUT! n. 27 - 18/07/2024
Al Foglio piace la recessione modello “Monti” | Von der Leyen eletta con i voti decisivi dei Verdi. Auguri al PPE! |
Al Foglio piace la recessione modello “Monti”
(#GL) C’era da non credere ai propri occhi oggi, leggendo “L’algebra del debito” in prima pagina sul Foglio.
Gli autori (Luciano Capone e Riccardo Trezzi, solo per la cronaca, perché qui si ragiona “ad rem” e non “ad personam”) giungono alla conclusione che la Francia, per ridurre il rapporto debito/PIL, debba conseguire un pareggio del saldo primario di bilancio, operando tagli pari a 3 punti di PIL.
Fin qui, nulla di sorprendente. Infatti è quanto scaturisce dalla nota formuletta secondo la quale, in caso di costo medio del debito pubblico pari o superiore alla crescita del PIL nominale, l’unico modo per ridurre il rapporto debito/PIL è quello di ottenere consistenti avanzi primari. Cioè non aggiungere, al lordo degli interessi, altro debito a quello esistente.
Per la Francia ha senso. Perché – con un sostanziale equilibrio tra crescita del PIL nominale e costo medio del debito a cui si aggiunge un disavanzo primario del 3,3% - bisognerebbe conseguire un pareggio del saldo primario per non vedere decollare il debito/PIL.
Ma noi cosa c’entriamo? Nel 2024 saremo già in sostanziale pareggio di saldo primario (-0,4%) e, soprattutto, l’onere medio del debito è di poco inferiore al 3%, contro una crescita del PIL nominale del 3,7%, 3,5% e 3,0% rispettivamente nel 2024, 2025, 2026. Quindi siamo messi meglio della Francia.
Invece, i Nostri chiedono un avanzo primario di 4 punti (in modo da avere, al netto degli interessi, un pareggio di bilancio) per tenere sotto controllo il nostro debito/PIL. Che invece è già sotto controllo di suo, come dimostra la discesa dal 155% del 2020 al 138% del 2024. Mentre la Francia è ancora sui massimi post lockdown (115% del 2020 e 112% del 2024). E poi perché alla Francia si chiederebbe solo un pareggio del saldo primario (che l’Italia ha già) mentre al nostro Paese si chiede un avanzo monstre del 4%?
Nemmeno sotto il governo Monti abbiamo fatto un avanzo primario del 4%. Nel 2012, si raggiunse il 2,2% e bastò per mandare in recessione il Paese per quasi 3 anni.
Proprio per questo motivo, la cosa non sta in piedi, non solo sotto il profilo meramente aritmetico ma, soprattutto, sotto quello della logica economica. Per la banale considerazione che esiste un effetto di retroazione del minor deficit sul PIL. Un punto di deficit (e quindi di debito) in meno genera più di un punto di PIL in meno e il rapporto debito/PIL aumenta anziché diminuire.
Insomma, il denominatore conta e 3/2 è maggiore di 4/3. Giusto per suggerire un ripasso di aritmetica base, senza spingersi all’algebra.
Von der Leyen eletta con i voti decisivi dei Verdi. Auguri al PPE!
(#GL) È andata come era ampiamente previsto. Ursula von der Leyen sarà il Presidente della Commissione per i prossimi cinque anni con 401 voti su 720. L’hanno votata Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi. Questi ultimi, con i loro 53 voti si sono rivelati decisivi per superare la maggioranza assoluta degli aventi diritto pari a 361 voti. E Ursula l’ha prontamente riconosciuto, ringraziandoli pubblicamente. Con i Verdi, Ursula avrebbe potuto avere 454 voti ma si è fermata ben al di sotto per i soliti franchi tiratori.
Non a caso, proprio i Verdi erano stati l’oggetto principale delle lusinghe della tedesca nei giorni scorsi, perché entrare al voto con soli 401 voti teorici sarebbe stato troppo rischioso. E i dati finali dimostrano che il “soccorso verde” serviva, eccome.
Per essere sicura del risultato, nel discorso programmatico la von der Leyen ha opportunatamente lisciato il pelo proprio ai Verdi, promettendogli di “mantenere la rotta sul Green Deal”.
Un segnale inequivocabile e i voti sono arrivati e, probabilmente, ne sono usciti altri dai settori del PPE più lontani dai Verdi. Che subito si sono appuntati la medaglia sul petto.
A questo punto gli Stati membri indicheranno una coppia di Commissari (un uomo e una donna) che la Presidente sceglierà e a cui assegnerà un portafoglio. Poi esame da parte del Parlamento e Commissione operativa a inizio novembre.
Il no dei conservatori di Ecr (gruppo che accoglie Fratelli d’Italia) è stato non proprio cristallino, almeno nelle modalità di annuncio. Se erano fuori dai giochi, come prevedibile sin dall’astensione di Giorgia Meloni al Consiglio Europeo, tanto valeva farlo sapere in modo chiaro, anziché ondeggiare timidamente.
Ora sarà battaglia parlamentare, dove siamo curiosi di veder votare insieme Forza Italia e Verdi e in Consiglio dei ministri, dove la maggioranza qualificata prevede il voto di 15 Paesi che rappresentino il 65% della popolazione UE. E si fa presto ad arrivare a 13 e bloccare tutto, soprattutto con i chiari di luna che ci sono in Francia e Germania.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it