OUT! n. 30 - 23/07/2024
Terzo Plenum cinese, avanti tutta | La Procura di Milano accusa Amazon e sequestra 121 milioni | Germania, prestiti alle imprese | La Harris? E chi è (si chiedono in Bce)?
Terzo Plenum cinese, avanti tutta
(#SG) Il Terzo Plenum del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese si è concluso con l’approvazione di un piano di governo dell’economia per i prossimi anni (la Decisione). Il Terzo Plenum si tiene ogni dieci anni e definisce il quadro economico delle “riforme” necessarie al paese (secondo il PCC) per i successivi dieci anni. Avrebbe dovuto tenersi l’anno scorso, ma Xi Jinping lo aveva fatto rinviare. Ne risulta un documento che delude le aspettative di un cambiamento nelle politiche economiche di Xi. Nonostante le difficoltà e le preoccupazioni nel breve termine, prevale nella Decisione lo sguardo al lungo periodo, con il leader cinese che chiede “incrollabile fede”.
Un piano di 30 pagine fitte fitte, con 60 impegni, in cui sostanzialmente si ribadisce la visione politica di Xi Jinping. Difficilmente potrebbe essere altrimenti. Il documento afferma che gli obiettivi fissati nel Plenum precedente, nel 2013, sono stati raggiunti. La Decisione del 2013, per la verità, affermava che il governo cinese si sarebbe astenuto dall’intervento nell’economia, lasciando al mercato il compito di allocare le risorse in maniera efficiente e agendo da regolatore neutrale. È evidente che non è andata proprio così.
Per il futuro, la Decisione presa in questo nuovo Plenum si concentra su una nuova espansione del sostegno alle politiche industriali nel settore manifatturiero, con il chiaro intento di rafforzare il ruolo cinese di fornitore del mondo. Allo stesso tempo, nel documento vi sono palesi contraddizioni. Mentre si conferma il ruolo neutrale dello Stato (a parole) sino al 2029, affermando che imprese statali e private avranno lo stesso trattamento, dall’altra parte la Decisione afferma che la Cina sosterrà le imprese statali perché siano rafforzate e diventino più forti e più grandi. L’obiettivo è una crescita di alta qualità, cioè nelle tecnologie avanzate, definite “nuove forze produttive”, tra cui anche tutte le tecnologie green, auto elettriche comprese (ma anche biotecnologie e farmaceutica). Come tutti i documenti programmatici, nella Decisione vi è un po’ di tutto, dalla ecosostenibilità alla resilienza (sic) delle catene di fornitura. Poche o nessuna indicazione sul sostegno alla domanda interna e su una limitazione dei surplus commerciali del paese nei confronti del resto del mondo, anzi.
Il documento è una sostanziale presa d’atto della visione di Xi, quella di uno Stato pervaso dal partito, che assume la guida e indica la strada per guadagnare la leadership mondiale nella tecnologia, nell’industria ed anche nel capitale, ponendo particolare enfasi sulla sicurezza nazionale.
In sintesi, la Cina non cambia rotta. Centralizzazione delle decisioni economiche, controllo sociale (“tessere una fitta rete di prevenzione e controllo dei rischi legati alla sicurezza sociale e mantenere efficacemente la stabilità sociale”) priorità al lato dell’offerta (tecnologia in particolare), sostegno alle imprese statali, allineamento delle politiche economiche alla sicurezza nazionale. Rimarranno quindi gli squilibri macroeconomici cinesi (domanda interna debole e surplus commerciale) che non aiutano a ridurre le tensioni economiche, in particolare con gli USA e con l’Europa.
Domani, intanto, la Cina emetterà obbligazioni a un anno per 94 miliardi di yuan (circa 13 miliardi di dollari), sarà interessante vedere a quale tasso.
La Procura di Milano accusa Amazon e sequestra 121 milioni
(#GL) Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha eseguito oggi un sequestro preventivo per circa 121 milioni di euro a carico di Amazon Italia Transport srl, filiale italiana del colosso mondiale del e-commerce che gestisce 44 fra siti e magazzini. Si tratta dell’equivalente del profitto conseguito ed illegittimamente sottratto all’erario.
L’ipotesi investigativa è tutta centrata sull’accusa di “appalto non genuino”. In sintesi, le migliaia di persone che ruotano nei magazzini e nei furgoni che eseguono consegne nel nostro Paese, sarebbero solo formalmente dipendenti di società e cooperative terze ma, di fatto, sotto il potere direttivo della società committente Amazon.
Quindi si tratterebbe non già di appalto ma di lavoro dipendente. Con tutto ciò che ne consegue in termini di trattamento fiscale. Ma vi è di più. Questa filiera di società da cui Amazon riceve ancora oggi prestazioni di lavoro dipendente camuffate da appalto di servizi, sarebbero accusate di omesso versamento di Iva e contributi previdenziali.
La chiave di tutto sta in un software utilizzato dagli appaltatori, al punto che la Procura ha parlato di “caporalato digitale”. Infatti, la Procura sostiene che Amazon “attraverso i propri dispositivi tecnologici, esercita poteri direttivi organizzando di fatto l’attività complessiva di distribuzione e consegna merci, compresa quella relativa alla cosiddetta consegna 'di ultimo miglio' in apparenza appaltata» a fornitori, «esercitando direttamente nei confronti dei singoli corrieri, formalmente dipendenti dai sopra citati fornitori, i poteri specifici del datore di lavoro», anche nel «controllo del loro operato”.
È esattamente la linea rossa che non bisogna superare quando c’è un appalto di servizi. Per la cui genuinità l’appaltatore deve poter organizzare autonomamente cose e persone. In questo caso Amazon gestiva sul Pc dei corrieri addirittura i tempi e i giri di consegna.
Siamo curiosi di osservare il tempo e lo spazio che saranno dedicati sui grandi media nazionali a questa notizia. Molto scomoda per una certa sinistra radical chic ed economisti ad essa asserviti, che tesse le lodi della grande impresa innovatrice e denigra le Pmi descritte come ricettacolo di tutti i vizi (evasione, sfruttamento, ecc…).
Hanno tenuto per giorni in prima pagina il caso del povero bracciante indiano barbaramente lasciato morire da delinquenti travestiti da imprenditori, mettendo in luce la condizione di degrado e sfruttamento in cui versava. Bene. Ora vediamo quanto durerà questa storia. Perché lo sfruttamento sempre quello è.
Germania, prestiti alle imprese
(#SG) Il rapporto mensile della Bundesbank sull’andamento dell’economia tedesca riporta un articolo sull’andamento dei prestiti alle imprese tedesche. Ne risulta che da un anno e mezzo i prestiti sono in calo e ad oggi la crescita del credito è praticamente a zero.
L’inflazione nell’area euro ha raggiunto il 10,6% nell’ottobre 2022, con la BCE che ha iniziato ad alzare i tassi nel luglio 2022. Il calo della crescita dei prestiti si è però avuto solo dalla fine del 2022, dunque la stretta della BCE si è trasmessa con un certo ritardo all’economia. A un certo punto, però, dice la Bundesbank, la crescita si è arrestata per motivi diversi dall’aumento dei tassi. La domanda di prestiti dalle imprese si è indebolita per una minore propensione ad investire, derivante dalle incertezze sulle forniture energetiche e il loro costo, le difficoltà sui trasporti, le tensioni geopolitiche e la transizione green.
Ma, dice Bundesbank, c'è anche un altro fattore: molte aziende tedesche hanno potuto ricorrere a consistenti riserve di liquidità come forma di finanziamento alternativa, complici anche gli ingenti sussidi del governo per il periodo del Coronavirus e per la crisi energetica. Infine, nel 2023 molte aziende hanno realizzato ingenti profitti, con l'aumento dei prezzi mentre salari e stipendi rimanevano sostanzialmente fermi.
Ora la Bundesbank prevede una graduale ripresa dei prestiti alle aziende, condizionato ad un moderato recupero della crescita economica, con consumi privati in leggera ripresa. Ma, è la chiusa finale del rapporto, non si prevedono impulsi di crescita tangibili dagli investimenti provati prima del 2026. Il che significa che quest’anno e il prossimo, per la Germania, non saranno anni particolarmente allegri.
La Harris stroncata dalla “rossa” tedesca della Bce
(#GL) “Kamala Harris? Non ha alcuna possibilità di farcela”. Parola di Isabel Schnabel influente membro tedesco del comitato esecutivo della Bce. Sono queste le parole rilanciate in esclusiva da Politico.Eu in queste ore in cui siamo assordati dal processo di santificazione – senza passare per la beatificazione – in atto a favore della ormai designata concorrente di Donald Trump alla Casa Bianca.
Commenti al vetriolo, appartenenti ad una conversazione privata, catturati però da un microfono che si credeva erroneamente spento durante un evento pubblico trasmesso in streaming nello scorso febbraio. Una Schnabel critica anche verso il processo di selezione del candidato da parte del Partito Democratico e molto tagliente quando si è lasciata andare a “non la conosco nemmeno perché è stata così invisibile”.
Ed è questa la nota distintiva che emerge da un breve giro d’orizzonte di Politico.Eu tra le proprie fonti diplomatiche. In quattro anni di presidenza, pochi l’hanno incontrata e sanno descriverla.
Alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera quest’anno, il suo discorso è stato poco spontaneo e non è riuscita a stabilire alcuna connessione con il pubblico. Lo stesso dicasi in occasione di un intervento ad una conferenza sull’intelligenza artificiale nel Regno Unito l’anno scorso.
Migliore l’impressione negli incontri non ufficiali, dove si è riusciti a cogliere il tratto carismatico della Harris. Ma quello di cui si sta realisticamente prendendo atto in Europa in queste ore è che in quattro anni di mandato di Joe Biden, i contatti tra Ue e Usa sono stati dominati dallo staff del Presidente e della vice si sono perse le tracce. Né lei ha fatto particolari sforzi per creare dei rapporti con i vertici istituzionali Ue. E ora ci si guarda intorno alla ricerca di qualche riferimento.
Per il momento, una cosa è certa. La candidatura della Harris sta beneficiando di una copertura fornita da una potenza di fuoco mediatica di rara intensità, tesa a dimostrare (anche se non ci credono, ma devono fingere di farlo) che “da oggi cambia tutto”. Come ha scritto sul Corriere della Sera un Walter Veltroni scongelato per l’occasione.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it