OUT! n. 32 - 25/07/2024
Germania impantanata nella crisi | Il debito delle famiglie americane | Lite tra Fitto e Ruffini sugli incentivi al Sud
Le imprese tedesche preda della sfiducia
(#GL) Le pagine dei nostri principali giornali oggi erano piene di amenità varie assortite su presunti pericoli per l’informazione. Paradossalmente, proprio nei mesi in cui i primi quattro principali quotidiani non sportivi del Paese sono da mesi apertamente schierati contro il Governo. Spesso con punte di rara faziosità e stravolgimento dei fatti.
Mentre va in scena questo modesto spettacolo di autoreferenzialità, in giro per l’Europa accadono fatti concreti che presto faranno sentire i loro effetti sulla nostra vita quotidiana. Ma quando finirà lo stordimento e ne prenderemo coscienza, sarà troppo tardi.
Parliamo della profonda crisi in cui versa la Germania e che oggi i dati pubblicati dall’istituto di ricerca IFO di Monaco hanno confermato nella loro gravità e persistenza. Non solo non va meglio, ma va addirittura peggio.
Ogni mese l’Ifo pubblica l’esito di una ricerca su un campione di circa 9.000 aziende tedesche da cui scaturiscono tre indici: la fiducia, la valutazione della situazione attuale e le aspettative.
Tutti e tre gli indici a luglio hanno puntato verso il basso, senza particolari distinzioni settoriali. Al manifatturiero, in frenata da mesi, si sono aggiunti anche il settore delle costruzioni e quello del commercio. Tengono soltanto i servizi, in considerazione di una migliore valutazione della situazione attuale. Ma anche lì le aspettative peggiorano.
“L’economia tedesca è impantanata nella crisi”, è la conclusione del Presidente dell’Ifo, professor Clement Fuest (come mostra il grafico sottostante).
Dopo la china discendente che ha caratterizzato tutto il 2023, il primo trimestre 2024 aveva mostrato un timido rimbalzo che si è dimostrato quantomai effimero.
Ci ritroviamo così la presunta locomotiva di una volta – ma si trattava di vagone al traino dei consumi vicini – che entra nell’anno elettorale col passo del gambero. E qui di discute di “ventagli”.
Debito privato in USA
(#SG) Secondo i dati della Federal Reserve Bank di Filadelfia, gli scaduti delle carte di credito americane sono ai livelli massimi dal 2012. Oltre i 60 giorni sono il 2,59% dei saldi.
Un segnale non buono, di un indicatore che non ricade tra quelli fondamentali dell’economia americana, e che tuttavia segnala una difficoltà. A quanto pare, la mole di risparmio accumulato durante la pandemia si è esaurita:
e per molti iniziano le difficoltà.
Secondo la FED di New York i ritardi nei pagamenti superiori ai 90 giorni sono pari al 10,7% dei saldi delle carte di credito, mentre per i prestiti per l’acquisto di automobili sono al 4,4%
I debiti delle famiglie americane non legati all’acquisto della casa sono arrivati a 4.870 miliardi di dollari nel primo trimestre 2024, in leggero calo rispetto al trimestre precedente.
Ma se si considerano anche i debiti per i mutui casa il totale del debito delle famiglie americane sale a 17.690 miliardi di dollari.
I tassi di morosità in salita non sono una buona notizia ma sono l’effetto dell’inerzia derivante dalla combinazione tra tassi alti e consumatori che spendono ancora come se avessero i risparmi che non hanno più. Vedremo nei prossimi due trimestri quanto brusca sarà la frenata dei consumi americani e quante sofferenze bancarie si genereranno.
Lite tra Fitto e Ruffini sugli incentivi al Sud
(#GL) Il Governo mette a disposizione delle imprese del Sud circa 1,7 miliardi di credito d’imposta per investimenti; le imprese accorrono in massa, pianificando investimenti che generano un credito di 9,4 miliardi (quindi almeno 20 miliardi di investimenti); l’Agenzia delle Entrate divide la torta proporzionalmente tra i richiedenti (quindi si otterrà solo il 17% circa del credito “prenotato”) e il ministro Raffaele Fitto, tempestato di critiche, si arrabbia (giustamente) con il direttore dell’AdE Ernesto Ruffini, bersagliandolo con un post sui social.
Era prevedibile che le imprese delle regioni del Sud accorressero in massa per ottenere un’agevolazione che oscillava dal 45% al 60% dell’investimento. Sia pure da completarsi entro il termine perentorio del prossimo 15 novembre. In sostanza si replicava lo schema del “bonus Sud”, in piedi dal 2017 con aliquote più generose. Era altrettanto prevedibile che proprio, per come era stata progettata la misura, il prenotato avrebbe superato di gran lunga il budget disponibile. Fitto chiedeva solo di “capire se tale dato è il frutto in parte dell’applicazione del criterio della prenotazione, e dunque è sovrastimato, oppure se rappresenta un ammontare di investimenti effettivi.
In ogni caso, questa valutazione richiede un lavoro dettagliato che si sta già svolgendo ma che avremmo potuto anticipare, se solo il Direttore dell’Agenzia delle Entrate avesse condiviso i dati e le valutazioni prima di adottare il provvedimento. Un provvedimento che non condivido, lo ritengo sbagliato.”
Invece Ruffini è partito in automatico ed ha calato l’accetta, senza avventurarsi in stime di sorta. Perché è evidente che il meccanismo della prenotazione ha aumentato a dismisura le richieste delle imprese, nel timore di accaparrarsi quante più risorse possibili. Ma questo ha alimentato un circolo vizioso, perché si sono ridotte ancor più le risorse di cui effettivamente fruiranno. Almeno ex ante.
Salvo eseguire comunque gli investimenti, con l’incentivo ridotto a meno di un quinto, e sperare che nel 2025, quando saranno noti gli investimenti effettivamente realizzati, le rinunce consentano un riparto più generoso.
Non esiste un metodo perfetto per assegnare incentivi (Superbonus docet) ma stavolta la fretta ha fatto i “Ruffini” ciechi.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it