OUT! n. 33 - 26/07/2024
La Cina sussidia ancora la sua base industriale | I cinesi produrranno auto in UE per aggirare i dazi | Orban si indebita con Xi Jinping | Ue contro il deficit eccessivo di Parigi e Roma |
La Cina sussidia ancora la sua base industriale
(#SG) La Banca Popolare Cinese ha abbassato il tasso della linea di credito a medio termine (MLF) di 20 punti base, portandolo al 2,3%. Una decisione che segue di pochi giorni quella sul taglio dei tassi a 7 giorni, scesi di 10 punti base a 1,7%.
Il Plenum del Partito comunista cinese la settimana scorsa ha sancito gli obiettivi di crescita del PIL al 5% e ha confermato l’accento sulle politiche di offerta nel medio-lungo termine, con poco o nessuno stimolo alla domanda interna. Tutti i tassi ora sono ai livelli più bassi da almeno 5 anni a questa parte, ma è l’abbassamento dei tassi non è sintomo di un cambio di strategia di Pechino in merito ad un eventuale sostegno alla domanda interna.
Anzi. Assai più concreto è il piano del governo per sussidiare l’acquisto di autovetture ed elettrodomestici per una cifra di 20 miliardi di dollari, finanziati con obbligazioni a lunghissima scadenza. Per l’acquisto di un’auto elettrica ci saranno 2.800 $ di sussidio, mentre per elettrodomestici, TV e computer il bonus statale varrà fino a 280$.
Le vendite al dettaglio in Cina sono salite solo del 2% il mese scorso (il dato peggiore da un anno e mezzo a questa parte) e questo è il tentativo del governo per sostenere l’industria nazionale. Trattandosi di stimoli definiti nella merceologia e negli importi, si configurano di fatto come sussidi all’industria, più che come sostegno alla domanda. La Cina è cresciuta del 4,7% tra aprile e giugno, in rallentamento rispetto al +5,3% del trimestre precedente e a -0,4% rispetto alle previsioni.
I prezzi al consumo a giugno in Cina sono scesi allo 0,2% anno su anno (y/y), in leggero calo rispetto allo 0,3% y/y di maggio. L'inflazione è sostanzialmente piatta (tra 0,1 e 0,3%) da quattro mesi, dopo essere stata negativa per quasi tutto il 2023.
I prezzi dei prodotti alimentari (-2,1% anno su anno) hanno registrato un calo più netto del previsto a giugno: verdure fresche -7,3%, frutta fresca -8,7%, carne di manzo -13,4%, montone -7,1%, maiale +18,1%.
La bassa domanda interna resta il grande problema della Cina. Per meglio dire, la domanda debole è la conseguenza obbligata dalle politiche di risparmio attuate da Xi Jinping, che proietta la Cina alla conquista dei mercati mondiali attraverso il rafforzamento della propria base industriale votata all’export. La sostanziale deflazione in atto è figlia dei bassi consumi, e lo stimolo da 20 miliardi avrà effetti negativi sulla domanda del prossimo anno, poiché in parte si anticiperanno ad oggi consumi che forse sarebbero stati fatti più avanti.
Ciò che la Cina esporta oggi non è semplicemente merce, ma il proprio squilibrio interno: le famiglie cinesi stanno di fatto sussidiando le aziende nazionali. Quanto può durare questo gioco?
I cinesi produrranno auto in Ue per aggirare i dazi
(#GL) Nella storia ormai ultradecennale dei fallimenti della UE, la vicenda dei dazi sull’import di auto cinesi rischia di conquistare il podio.
È di oggi una accurata indagine apparsa su Bloomberg che descrive in dettaglio i piani dei maggiori produttori cinesi finalizzati ad aprire fabbriche di auto elettriche in Europa, al fine di aggirare i dazi e considerare a tutti gli effetti prodotte nella Ue quelle auto.
Non sono episodi isolati, è un’invasione. Di fronte alla quale nei corridoi della Commissione ci sono solo silenzi e sguardi increduli. Ma cosa pensavano che sarebbe accaduto di fronte a dazi che arrivano al 48%? Che i cinesi sarebbero stati a guardare, facendosi sfuggire uno dei mercati più ricchi al mondo?
Poco conta che spesso tali produzioni siano fatte in collaborazione con produttori locali. Perché conta il fatto che i profitti finiscono in pancia al Dragone.
L’elenco è lunghissimo. In Spagna i cinesi di Chery Automobile produrranno la Omoda E5, in partnership con con Ebro. In Polonia il cinese Leapmotor produrrà la sua T03 sulle linee della Stellantis. Byd ha annunciato una fabbrica in Ungheria e un’altra in Turchia. I produttori europei non hanno scelta: collaborare è l’unica alternativa a chiudere.
I cinesi produrranno a basso costo nei propri siti extraeuropei, spediranno i pezzi in UE dove saranno eseguite solo le ultime fasi del ciclo produttivo. Con tanti saluti ai dazi.
In questo modo i cinesi manterranno la loro profittabilità, fondata su una inarrivabile leadership di costo, che rischiava di essere significativamente erosa e talvolta azzerata dai dazi varati pochi mesi fa da Bruxelles.
Ma vi è di più. Preoccupati dalle ricadute occupazionali ai danni di un settore ormai stagnante, sono i governi nazionali (anche il nostro, con Giorgia Meloni e Adolfo Urso in prima linea) a fare una corte spietata ai produttori cinesi affinché privilegino i rispettivi Paesi nelle scelte di insediamento.
E pensare che solo pochi decenni fa la Lancia Delta Integrale dominava i Rally in tutto il mondo. Non è rimasto più nulla. Solo ricordi.
Budapest si indebita ancora con Pechino.
(#SG) La notizia non è banale. Dai dati dell’agenzia governativa ungherese del debito AKK si apprende che il governo di Viktor Orban, lo scorso aprile, si è indebitato con banche cinesi per un miliardo di euro a tre anni.
“L'accordo di prestito consente il finanziamento di investimenti in infrastrutture e nel settore energetico, tra gli altri. La transazione mantiene il rapporto debito pubblico/PIL entro il limite massimo del 28,9%” ha detto l’AKK in un comunicato, dopo che la notizia è stata riportata da un giornale ungherese, Porfolio.
Il prestito è stato contratto dallo Stato con le banche cinesi China Development Bank, China Eximbank e la filiale ungherese della Bank of China. Formalmente, il prestito triennale serve al “Finanziamento delle spese del bilancio centrale nei settori dell'alta tecnologia, della costruzione di infrastrutture, delle infrastrutture di trasporto e dell'energia”. Quello che appare strano è che il prestito è stato contratto il 19 aprile scorso ma è stato reso noto, senza annunci ufficiali, solo il 22 luglio. Il nuovo prestito cinese è il più elevato tra i titoli del debito statale ungherese. Il secondo è un prestito della China Eximbank per il progetto ferroviario Budapest-Belgrado di 917 milioni di dollari. Non è un caso se nel suo viaggio in Europa nello scorso maggio, Xi Jinping si è fermato a Budapest (e a Belgrado).
Secondo Portfolio, tra i motivi del prestito, ed anche del suo sostanziale occultamento tra le pieghe dei resoconti della AKK vi è
l’esaurimento delle risorse dell’UE. In una fase precedente dei negoziati sulle risorse dell’UE, il governo aveva sostenuto che i trasferimenti dell’UE avrebbero potuto essere sostituiti con risorse provenienti dalla Cina. Sebbene l'argomentazione del governo includa principalmente l'afflusso di capitale circolante cinese in sostituzione dei fondi UE, è possibile che il prestito cinese in valuta estera serva anche allo scopo di colmare il buco causato dal blocco dei fondi UE. Non va inoltre dimenticato che, secondo una decisione della Corte europea, il governo deve pagare all'Unione europea entro un breve periodo di tempo multe superiori a 200 milioni di euro, importo che aumenta di 1 milione di euro ogni giorno.
La relazione tra Budapest e Pechino si approfondisce e a quanto sembra Orban è intenzionato a tenere botta di fronte agli strali dell’Ue, appoggiandosi sempre più alla Cina. Se è così, forse a Bruxelles qualcuno dovrebbe iniziare a preoccuparsi e, magari, rivedere l’approccio nella relazione con l’Ungheria.
La UE contro il deficit eccessivo di Parigi e Roma
(#GL) Puntuale come l’esattore delle tasse, il Consiglio UE ha adottato la decisione che accerta l’esistenza di un deficit pubblico eccessivo in sette Stati membri (Belgio, Francia, Italia, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia) e pone questi Paesi lungo un sentiero correttivo per correggere questo squilibrio nei conti.
Si tratta di una decisione che è solo l’esito finale, peraltro scontato, della raccomandazione emessa qualche settimana fa dalla Commissione. Il Consiglio Ecofin ha dovuto solo formalizzare, senza nemmeno bisogno di riunirsi, adottano una procedura scritta, conclusasi appunto oggi.
Va sottolineato che tale procedura si basa sul deficit/Pil registrato nel 2023 (7,2% per l’Italia, soprattutto a causa della contabilizzazione per intero degli effetti del Superbonus) e che il sentiero su cui è già incamminato il bilancio pubblico per il triennio 2024-2026 è già sostanzialmente coincidente con le richieste che la Commissione formulerà in autunno.
Infatti questo è un anno particolare. Poiché si tratta della prima applicazione del riformato Patto di Stabilità e quindi le raccomandazioni della Commissione sul percorso di rientro coincideranno col piano di medio periodo (7 anni) che sarà negoziato con la Commissione. Quella nuova, però.
Quello che in altri tempi sarebbe stato un piano di rientro correttivo con una scadenza finale, oggi viene assorbito dal piano di medio termine del riformato Patto di Stabilità.
La procedura per deficit eccessivo – uno strumento risalente ad un’altra era geologica in economia – continua a sopravvivere solo perché è previsto dai Trattati (art. 126 TFUE) e nessuno è oggi capace di modificarli.
In autunno si apriranno i negoziati, con l’Italia pronta a far valere diversi punti di forza. Tra cui il fatto che Bruxelles, prima di citofonare a Roma, dovrà necessariamente passare prima da Parigi, dove sarà molto più difficile fare tagli di bilancio.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it