OUT! n. 37 - 12/09/2024
Germania, ferrovia portami via | La Bce taglia i tassi ma non sa se proseguire | Tra Meloni e Scholz c’è Commerzbank-Unicredit
Germania, ferrovia portami via
(#SG) La crisi tedesca prende il treno. DB Schenker, la società di logistica delle ferrovie tedesche (Deutsche Bahn), è stata ceduta, tramite un bando di gara il cui esito si è saputo oggi, alla società di logistica danese DSV. La cifra della transazione dovrebbe aggirarsi attorno ai 14 miliardi di euro per il controllo totale della proprietà. La società è in utile e la vendita da parte di DB dovrebbe servire ad abbattere il debito del gruppo ferroviario, che ammonta a circa 32 miliardi di euro. Secondo il consiglio di sorveglianza di DB, il gruppo dovrebbe concentrarsi sull’attività ferroviaria (cioè trasporto passeggeri ed esercizio della rete) e non fare lo spedizioniere. Il ministro dei trasporti tedesco ha imposto la settimana scorsa un duro piano di ristrutturazione di DB, che prevede il taglio di ben 30.000 posti di lavoro e la riduzione di alcuni treni a lunga percorrenza. In pratica, Schenker era l’unica fonte significativa di utili del gruppo. Con la vendita della logistica (antitrust permettendo), DB vedrà inabissarsi il conto economico, ma almeno guadagnerà tempo per la portare avanti la ristrutturazione. Almeno, questo è il piano del ministro Wissing. E noi sappiamo che dei piani tedeschi ci si può fidare. Ehm.
La Bce taglia i tassi, ma non sa se proseguire
(#GL) La Bce, come atteso e già largamente prezzato dai mercati, taglia il tasso di interesse di riferimento sui depositi dal 3,75% al 3,50% e ci consegna a un futuro della cui evoluzione non ha la più pallida idea. O meglio, un’idea della strada da percorrere ce l’ha, ma prescinde completamente dalla realtà.
Infatti sia il comunicato stampa che la successiva conferenza stampa di Christine Lagarde sono stati dominati dalla paura di usare parole che potessero lasciar presagire le prossime mosse dell’Eurotower. Invece, abbiamo ascoltato il solito ritornello della “dipendenza dai dati” e l’esplicitazione della volontà di non prendere in anticipo impegni per le prossime riunioni del Consiglio Direttivo, a partire da Lubiana il prossimo 17 ottobre. “Non esiste un sentiero discendente predefinito, né nei tempi né nei volumi”. Così ha chiosato la Lagarde.
Il paradosso, se non proprio la palese contraddizione, è che tutta questa prudenza mal si concilia con le proiezioni su inflazione e crescita che la stessa Lagarde ha reso note. L’inflazione “core” (senza energia e alimentari freschi) è stata rivista leggermente al rialzo (2,9%, 2,3% 2% rispettivamente nel 2024, 2025, 2026), mentre sono state confermate le stime per l’inflazione totale (2,5%, 2,2%, 1,9%).
Quindi ci attende uno scenario in cui l’inflazione stenta a rientrare, anzi dà segni di vitalità, e la crescita invece si riduce sempre più. Risultati che, in un mondo normale, sarebbero stati sufficienti per il licenziamento in tronco di qualsiasi amministratore delegato. Investita del compito di contrastare l’inflazione, l’unico risultato che la Lagarde riesce a ottenere è quello di far ristagnare la crescita. Questo per chi crede che la Lagarde voglia genuinamente contrastare l’inflazione e promuovere la crescita.
Invece qui ci permettiamo di obiettare che non è colpa ma dolo.
In Bce dominano coloro – tedeschi in testa – che perseguono tenacemente un unico obiettivo: quello di preservare il modello, tutta deflazione e moderazione salariale ed export, che è ormai giunto al capolinea. Ma questo non lo vogliono capire. Con la stessa testardaggine con cui nel 1945 i loro predecessori non capirono che l’Armata Rossa avrebbe issato a breve la bandiera con falce e martello sul Reichstag. Come puntualmente avvenne.
E allora, pur di ottenere quel risultato, si preferisce mantenere i tassi relativamente alti e smorzare sul nascere qualsiasi ipotesi di ripartenza degli investimenti, dei consumi e, di conseguenza, di crescita salariale. Non a caso nel secondo trimestre la crescita dei salari si è ridotta al 4,3%, dal 4,8% del trimestre precedente. Solo uno scenario di stagnazione o, peggio, recessivo riesce a contenere la crescita salariale. Anche se Fabio Panetta e Piero Cipollone – gli italiani presenti in Consiglio – hanno già scritto fiumi di inchiostro per ribadire che il pericolo di spirale prezzi-salari non esiste, in quanto i margini di profitto cresciuti negli anni post Covid, sono in grado di assorbire i maggiori costi senza scaricarli a valle.
In conclusione, pur di inseguire i fantasmi tedeschi del passato e l’ottusità del presente, la Lagarde ci sta condannando alla stagnazione, senza peraltro conseguire apprezzabili risultati sul fronte dell’inflazione, dominata da dinamiche esogene (politiche green, colli di bottiglia produttivi, de-globalizzazione) che difficilmente riescono ad essere incise da movimenti nei tassi. Un “capolavoro” epocale.
Tra Meloni e Scholz c’è Commerzbank-Unicredit
(#SG) La salita di Unicredit nell’azionariato di Commerzbank porta con sé uno strascico politico che in Germania sta già facendo tremare qualche poltrona. A parte la dura reazione di Jens Weidmann (proprio lui), a capo del consiglio di sorveglianza, il fatto che la cessione di azioni da parte dello stato tedesco sia andata tutta in mano ad una banca italiana ha fatto storcere il naso a molti, in primis il cancelliere Olaf Scholz. Preso alla sprovvista, si dice, dalla salita rapida della banca italiana nell’azionariato: ora Unicredit è il secondo azionista con il 9% delle azioni dietro il governo tedesco che ne ha il 12%. Soprattutto, la questione riguarda ora i rapporti tra il governo italiano e quello tedesco. Scholz non sapeva, ma Meloni quasi certamente sì. Siamo davvero curiosi di vedere le espressioni sul viso dei due al prossimo Consiglio europeo del 17 ottobre.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it