OUT! n. 40 - 18/09/2024
Immobiliare: un mercato spaccato in due| Germania, l’uomo “nuovo” | Taglio "forte" dei tassi negli Usa
Immobiliare: un mercato spaccato in due!
(#FD) Secondo le stime preliminari Istat diffuse oggi, nel secondo trimestre 2024 l’indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento, aumenta del 3,2% rispetto al trimestre precedente e del 2,9% nei confronti dello stesso periodo del 2023 (era +1,6% nel primo trimestre 2024). Quest’ultimo è il cosiddetto dato tendenziale la cui dinamica è principalmente dovuta all’andamento dei prezzi delle abitazioni nuove che aumentano dell’8,1% (in forte accelerazione rispetto al +5,3% del trimestre precedente) e, in misura più contenuta, a quelli delle esistenti che salgono dell’1,9% (in rafforzamento rispetto al +0,8% del primo trimestre). Il dato che emerge è quello di una spaccatura molto forte all’interno del mercato immobiliare fra le abitazioni nuove (che Istat definisce di nuova edificazione o esistenti ma ristrutturate e quindi vendute delle imprese costruttrici) ed esistenti invece vendute dalle famiglie o altri investitori. Se allarghiamo l’orizzonte ci rendiamo meglio conto del significato di questa profonda spaccatura. Il mercato delle abitazioni esistenti ha raggiunto il picco delle quotazioni nel 2011. Da allora un’inesorabile discesa del 15% fino appunto al secondo trimestre 2024 (comunque in crescita rispetto al primo quarto). Il patrimonio abitativo delle famiglie italiane era nel 2011 stimato in circa 5.650 miliardi sempre dall’Istat. Una perdita secca di valore, da allora ad oggi di quasi 840 miliardi. Una patrimoniale occulta che si accompagna alla patrimoniale vera imposta allora dal governo Monti. Un impoverimento secco per le nostre famiglie diretto (attraverso la maggiore imposizione) ed indiretto (attraverso la caduta delle quotazioni). Viceversa, il mercato delle nuove abitazioni ha conosciuto una crescita costante delle proprie quotazioni toccando un + 17% rispetto al 2011. Nel complesso, comunque, si registra una leggera ripresa anche nel mercato delle abitazioni esistenti. Dal 2022, da quando si è cioè insediato il governo Meloni, i prezzi sono mediamente cresciuti del 3%. Un’inflazione buona quest’ultima.Berlino, l’uomo del futuro
Germania, l’uomo “nuovo”
(#SG) Il leader della CDU Friedrich Merz si candida per il ruolo di cancelliere alle prossime elezioni tedesche che si terranno tra un anno. Sfiderà il socialdemocratico Olaf Scholz, che si è già ricandidato. Nei sondaggi nazionali la CDU raccoglie il 32% dei sondaggi, avanti di 18 punti rispetto alla SPD e di 13 punti su AfD, in crescita al 19%. Il Bundestag si elegge con una legge elettorale proporzionale. Al momento, i liberali di FDP sono sotto la soglia del 5%, minimo necessario per entrare in parlamento, mentre i Verdi sono appaiati a Sahra Wagenknecht al 10%. La maggioranza che regge l’attuale governo virtualmente non esiste più, raccogliendo il 28% dei voti. La CDU/CSU da sola è avanti 4 punti.
La questione dell’immigrazione sta facendo molto male al governo e molto bene a CDU e AfD. Il governo ha stretto le maglie ripristinando i controlli alle frontiere e annunciando rimpatri, ma questo non cambierà molto nei sondaggi. Merz peraltro sembra voler evitare di mettere l’immigrazione al centro della sua campagna elettorale, preferendo puntare sulla crisi economica che nel paese sta destando preoccupazione. Ma il neo candidato dovrà sciogliere parecchi nodi: cosa pensa della transizione energetica? Che intenzioni ha sulla regola del freno al debito, feticcio liberale e totem governativo per eccellenza? Con chi cercherà alleanze nel Bundestag? Come intende risolvere la crisi industriale? Che atteggiamento avrà sulla guerra in Ucraina?
Non siamo lontani dal momento in cui lo Stato tedesco dovrà salvare diverse grandi aziende, con centinaia di miliardi di denaro pubblico. Nel vicolo cieco delle finanze pubbliche tedesche l’impatto con il muro potrebbe essere molto ruvido. Il freno al debito può solo portare all’ennesimo testacoda.
Taglio “forte” dei tassi negli Usa
(#GL) La Fed esordisce col botto nel prendere il sentiero di riduzione dei tassi. Il Presidente Jerome Powell ha annunciato alle 20:00 ora italiana un taglio di 50 punti base, portando i tassi di riferimento nell’intervallo 4,75%-5%.
Immediata la reazione dei mercati valutari, con Euro/dollaro che è arrivato a sfiorare 1,1190, e dei mercati obbligazionari, con un calo dei rendimenti dei titoli USA su tutto l’arco delle scadenze, a partire da quelle più brevi, notoriamente più sensibili a questo tipo di decisioni. Positiva anche la reazione dei listini azionari. Relativamente stabili invece i rendimenti dei maggiori titoli governativi europei (Btp, Bund e Oat).
Una riduzione di così rilevante entità, invece degli abituali 25 punti base, è il segnale della preoccupazione della Fed circa un eccessivo indebolimento della crescita, prevista comunque al 2% (livello che in Europa ci sogniamo), e del mercato del lavoro. Basti pensare che l’ultimo taglio di questa entità risale al 2020 con mezzo mondo chiuso per lockdown.
Il fatto che non sia stata una decisione facile è testimoniato dalla mancanza dell’unanimità nella decisione, cosa che non accadeva dal 2005.
Ha certamente pesato sulla misura “extralarge” del taglio la valutazione della banca sull’equilibrio tra due rischi che, nella sua valutazione, non sono più simmetrici. Da un lato, il rischio di eccessivo indebolimento del mercato del lavoro e conseguente aumento della disoccupazione; dall’altro il rischio di un rischio di mancare l’obiettivo di stabilizzazione dell’inflazione verso il 2%. Ora è giunto il momento di non strozzare eccessivamente l’economia e prendersi cura di occupazione e salari. Non bisogna dimenticare che la Fed ha, diversamente dalla Bce, il duplice obiettivo della stabilità dei prezzi e della massima occupazione. Su questo fronte la Fed prevede un tasso di disoccupazione in crescita al 4,4% dal 4,2% attuale.
Nella conferenza stampa Powell ci ha tenuto a sottolineare che la funzione di reazione della Fed è pronta a fronteggiare tutti gli sviluppi futuri, sia che riguardino un’inflazione troppo lenta nella sua discesa, sia che riguardino un ulteriore peggioramento del mercato del lavoro. Pur sottolineando che non esiste alcun automatismo nel sentiero di riduzione appena imboccato.
A questo punto, gli analisti danno per probabile un taglio di ulteriori 50 punti entro dicembre e ulteriori 100 punti nel corso del 2025.
Ora attendiamo di sapere con quale coraggio, con una crescita che langue intorno allo “zero virgola” e con la principale economia dell’eurozona (Germania) già in probabile recessione, Christine Lagarde potrà ancora tenere i tassi fermi a ottobre.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it