OUT! n. 44 - 26/09/2024
UniCommerz. E se il matrimonio fosse stato celebrato oltreoceano? | Porta in faccia dell'Italia alla von der Leyen sugli aiuti a Kiev
UniCommerz. E se il matrimonio fosse stato celebrato oltreoceano?
(#FD) Ci sono dettagli su cui vale la pena di soffermarsi per capire come possa essere nato il blitz Unicredit su Commerzbank. Magari è fanta finanza. Magari no. Sicuramente è fuori luogo il dualismo Italia Germania, come ben spiegato ieri dal nostro Giuseppe. È un’operazione di mercato e nulla c’entra il governo italiano. Un po’ più Berlino essendo azionista della banca tedesca che in quanto tale ha venduto un 4,5% della banca ad Unicredit attraverso l’organizzazione di un’operazione sindacata. Ha poi però maldestramente scoperto solo alla fine che quella partecipazione messa in vendita era finita nelle mani di Piazza Cordusio che sul mercato ha rastrelletto un altro 4,5% per arrivare al 9%. Troppo tardi. Le cronache di ieri dicono che il governo tedesco ne sarebbe uscito con le ossa rotte in questa sua ipotetica operazione di ritardata resistenza all’avanzata della banca italiana. L’esecutivo può solo evitare di vendere ulteriori azioni ad Unicredit fra i cui azionisti di rilievo figura, peraltro, il colosso assicurativo tedesco Allianz. A riprova del fatto che non ha proprio senso parlare di un’operazione Italia- Germania 4 a 3. Ma ha altresì poco senso esaltarsi per l’operato di BCE e Commissione Ue che avrebbero benedetto il matrimonio quasi incensando le nozze fra le due banche. Il nazionalismo bancario tedesco sarebbe stato cioè sconfitto dall’europeismo creditizio dell’Unione Europea che avrebbe finalmente mostrato a tutti come si gestisce un vero mercato unico europeo del credito. Anche questo europeismo di maniera è a mio parere fuori luogo. Non fosse altro perché due dei maggiori azionisti di Unicredit sono i colossi americani Blackrock e Vanguard che detengono rispettivamente il 7,02% ed il 3,67% di Piazza Cordusio. E guarda caso, sempre questi due azionisti detengono rispettivamente il 7,18% ed il 3,49% di Commerzbank. In totale quasi l’11% della banca. Quello stesso 11% circa che Andrea Orcel, CEO Unicredit, avrebbe opzionato? Nell’attesa che la BCE lo autorizzi ad arrivare al 29%? La cosa sembrerebbe piuttosto verosimile. Così come sembra altrettanto plausibile che i due giganti americani, qualora cedessero le proprie partecipazioni ad Unicredit, sarebbero pronti a reinvestire il ricavato in Unicredit magari in un’operazione di ricapitalizzazione -se necessaria- o comunque sostenendo il titolo sul mercato. Insomma, Unicredit sa il fatto suo. Sa fare la banca e sa come smontare e rimontare le banche acquistate per fare gruppi redditizi. Anche questo è un mestiere. Ed ha alle spalle due investitori che potrebbero essere pronti a sostenere Unicredit con almeno due miliardi di euro a disposizione ricavati da un’eventuale cessione del loro 11% di Commerzbank. E se il blitz Unicredit fosse nato e concluso a Washington? Ah, saperlo!
Porta in faccia dell’Italia alla von der Leyen sugli aiuti a Kiev
(#GL) Sta assumendo i contorni del grottesco la vicenda del prestito della Ue all’Ucraina, garantito dai proventi degli asset finanziari russi sequestrati dal marzo 2022. Appena cinque giorni fa, vi avevamo riferito dalle colonne del quotidiano La Verità della fuga in avanti di Ursula von der Leyen che, pur di presentarsi a Kiev con la promessa di un sostanzioso prestito di 35 miliardi di euro (40 miliardi di dollari), non ha esitato a mettere a carico della UE anche la quota che, in origine, avrebbe dovuto essere coperta dagli Usa.
Ma ieri quest’ultimo piano della von der Leyen, che avrebbe dovuto avere la maggioranza qualificata del Consiglio dei ministri UE, è stato clamorosamente bocciato già a livello preparatorio (ambasciatori Ue riuniti nel Coreper che preparano le sedute del Consiglio) per mano della netta opposizione di Francia, Italia e Germania.
La promessa della von der Leyen a Volodymyr Zelensky è improvvisamente divenuta carta straccia.
Infatti l’accordo del G7 di giugno in terra pugliese, prevedeva che i 50 miliardi di dollari di prestito a Kiev avrebbero dovuto essere divisi tra la Ue e gli USA (20 miliardi ciascuno) e Uk, Canada e Giappone (altri 10 miliardi in tutto).
Senonché quando gli USA hanno fatto notare ai loro partner che la garanzia offerta dai proventi degli asset sequestrati era a rischio perché le sanzioni che dispongono il sequestro sono soggette a rinnovo (all’unanimità) ogni sei mesi, per la Ue è stato impossibile riuscire ad allungare tale scadenza e quindi gli Usa hanno fatto retromarcia, lasciando Bruxelles col cerino in mano.
Da lì la affrettata fuga in avanti della von der Leyen che però aveva fatto i conti senza l’oste, cioè i governi nazionali che hanno clamorosamente bocciato l’iniziativa del Presidente della Commissione.
A questo punto, l’unica via di uscita, rivelata da Bloomberg oggi pomeriggio, è tornata ad essere quella di convincere gli Usa a contribuire al prestito offrendo proprio ciò che gli Usa chiedevano, cioè una congrua estensione del periodo di validità delle sanzioni (forse 36 mesi) e, di conseguenza, della disponibilità dei fondi russi sequestrati. In subordine, gli Usa si sono dichiarati disponibili ad erogare un prestito di minore ammontare anche qualora la Ue non riuscisse ad allungare il periodo di validità delle sanzioni che, ricordiamolo viene votato all’unanimità. Su questo voto incombe ogni volta la decisione dell’Ungheria che ha fatto sapere di non volersi impegnare prima dell’esito delle elezioni Usa del 5 novembre.
Ora toccherà al Consiglio Europeo del 17-18 ottobre trovare quell’intesa all’unanimità in grado di garantire gli Usa e al successivo incontro a livelli di ministri del G7 poter confermare il prestito nella formulazione iniziale definita in linea di principio a giugno, ma che tuttora stenta concretamente a decollare.
Per la von der Leyen non è proprio un buon inizio di mandato.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it
Ma BlackRock e Vanguard in UniCredit e Commerzbank mica hanno investito i soldi loro: sono quelli dei risparmiatori investiti nei loro fondi ed ETF. Non possono mica giocare con i soldi dei risparmiatori: gli ETF duplicano gli indici… non fate i complotti sti anche voi…