Cura “Monti” in Francia
(#GL) C’è un Paese in Europa i cui conti pubblici sono fuori controllo, e non è l’Italia. Basta scavalcare le Alpi e dirigersi verso Parigi per scoprire fatti e numeri dirompenti sia per l’equilibrio politico interno dei transalpini che per la stabilità complessiva dell’eurozona.
A quelle vicende non possiamo restare indifferenti nemmeno in Italia, perché la Commissione non potrà riservare alla Francia un trattamento privilegiato rispetto al nostro Paese, proprio nel primo anno di applicazione delle regole del riformato Patto di Stabilità.
Secondo fonti governative che hanno parlato con Bloomberg sotto vincolo di riservatezza, il primo ministro Michel Barnier si appresta a presentare al Parlamento, il prossimo 10 ottobre, una legge di bilancio per il 2025 che presenta una correzione dei conti per circa 60 miliardi di euro. 40 miliardi di minori spese e 20 miliardi di maggiori imposte.
Una correzione di rara durezza necessaria per riportare il deficit/PIL intorno al 5%. Infatti il 2024 si avvia a chiudersi con il 6,1%, totalmente fuori controllo rispetto alla previsione di poco più del 4%. Non osiamo immaginare cosa sarebbe accaduto se uno sforamento del genere fosse accaduto in Italia.
Non si salverà nulla dalla scure di Barnier. Tagli alla spesa dei ministeri e degli enti locali e anche al sistema di sicurezza sociale. Le entrate aumenteranno per l’imposizione di un’imposta straordinaria e temporanea (un solo anno) sulle società più grandi e sulle persone fisiche con grandi patrimoni. Non mancherà anche un aumento delle imposte “green” probabilmente destinate a colpire le fonti energetiche di origine fossile.
Ma non è affatto detto che Barnier superi l’esame e riesca nel suo intento. Infatti egli non controlla la maggioranza dei voti nell’assemblea nazionale e ha bisogno del contributo decisivo dei parlamentari facenti capo al partito di Marine Le Pen, che per il momento ha dichiarato di voler assumere un atteggiamento responsabile per «gettare la Francia nel caos».
Ma la probabile mozione di censura che la sinistra si appresta a presentare in aula contro il governo Barnier è una spada di Damocle che pende e che la Le Pen potrebbe decidere di far cadere in qualsiasi momento.
Barnier trova avversari anche nel suo campo che hanno criticato il ricorso all’aumento della tassazione in un Paese che ha già la più alta pressione fiscale in Europa (48%, contro il 42,7% dell’Italia). Critiche (ovvie) anche dal fronte imprenditoriale che appare però quasi rassegnato alle nuove imposte.
Tutto sommato contenuta la reazione dei mercati, con lo spread rispetto al Bund stabile ma su livelli storicamente elevati (78, l’Italia è a 132).
Ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco anche il Presidente Emmanuel Macron che, intervenendo ad un evento pubblico a Berlino, ha giustificato la scelta di Barnier, in contraddizione con la sua consolidata azione pro business e contro gli aumenti di tasse. Ma questa volta è proprio nell’angolo e ha dovuto fare i conti anche con la difficoltà di comprimere la spesa pubblica.
Tuttavia si è rifugiato nella temporaneità dell’aumento fiscale e ha ribadito che l’obiettivo della crescita resta prioritario «anziché essere ossessionati da correzioni di breve termine che uccidono la crescita».
Ora mettetevi nei panni del ministro Giancarlo Giorgetti che invece ha fatto il suo bravo compitino e si appresta a presentare in aula a Roma un bilancio 2025 con un deficit/PIL del 3,3% (in Francia 5,1% se tutto andrà bene), e nel 2024 dovrebbe fermarsi al 3,8% (6,1% a Parigi).
Con quale coraggio la Commissione potrà anche solo aprire bocca sui nostri numeri, quando da Parigi fanno il bello e il cattivo tempo, come se la Commissione e la procedura d’infrazione non ci fosse? Per il governo Meloni e per Giorgetti arriverà presto il momento in cui sarà doveroso fare notare le differenze, numeri alla mano, fare qualche domanda e, doverosamente, ricevere qualche risposta.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it