OUT! n. 49 - 04/10/2024
Giorgetti: il racconto dell'austerità e della credibilità comincia a stancare un po' tutti. Anche i mercati | Dazi alla Cina, eurolirici senza bussola.
Giorgetti: il racconto dell'austerità e della credibilità comincia a stancare un po' tutti. Anche i mercati.
(#FD) I giornali di oggi, soprattutto i giornaloni non di destra, banchettano sull'infelice sortita del ministro Giorgetti che ieri, a mercati aperti, ha maldestramente parlato di "sacrifici per tutti" nella prossima legge di bilancio. Chi meglio ha provato, secondo me assai efficacemente, a darsi e darci una spiegazione razionale per questa uscita che razionale non è, è manco a dirlo, Giuseppe Liturri qui su OUT!
La sintesi è che Giorgetti è riuscito tafazzianamente a far sembrare la prossima manovra di bilancio poco (ma molto poco) espansiva in una legge "lacrime e sangue". Sinceramente un disastro, diciamolo. Da un punto di vista comunicativo, almeno. Con il piano strutturale di bilancio reso noto giorni fa il rapporto deficit/Pil del 2025 dovrebbe attestarsi al 3,3% rispetto al tendenziale del 2,9%. Percentuale cui andrebbe se non fosse fatto nulla in legge di bilancio. Salvo imprevisti. Insomma numeri scritti sul ghiaccio. Ma così si ragiona in finanza pubblica. Parliamo di 9-10 miliardi disponibili per fare cose come la proroga del taglio del cuneo fiscale, l'irpef a tre aliquote, politiche invariate, che, a spanne, costano almeno 20 miliardi, se non di più. Semplicemente, si dovrà tagliare qualche spesa o aumentare qualche entrata, per aumentare altre spese e tagliare altre entrate. "Una redistribuzione che non potrà essere indolore ma che appartiene alla normale dinamica di un governo che vuole fare la sua politica di bilancio" chiosa giustamente Liturri. I sacrifici questi sarebbero.
Ma la reazione allarmata della Borsa di Milano con la sua brusca inversione di tendenza ci segnala anche altro. Giorgetti ha insistito compiaciuto di fronte a Bloomberg del fatto che questa fosse una legge di bilancio che darebbe credibilità all'Italia. Cioè Giorgetti cade nel solito errore di ritenere che il debito pubblico sia sostenibile se si fa una politica di bilancio austera. Ma ormai ampi strati dell'opinione pubblica hanno imparato con il COVID quello che è chiaro ai sovranisti da sempre. Il debito pubblico è sempre sostenibile anche nelle peggiori crisi economiche (-9% durante il Covid a causa dei lockdown). Basta che sia la banca centrale a garantirlo. Ed in quel momento la garanzia di Francoforte era esplicita. Molto esplicita. Grazie al Pepp. Oggi quella garanzia è implicita. E talvolta ambigua. La BCE ha iniziato a disinvestire in un'opera di riassorbimento di liquidità in eccesso. Ma il debito italiano continua ad essere apprezzato grazie ai tutto sommato buoni fondamentali economici uniti alla stabilità politica. Cose che Germania e Francia non hanno. Insomma da investor relator (così si chiama il manager che nelle aziende quotate dialoga con gli investitori) del nostro Paese, Giorgetti si è compiaciuto del racconto fatto di "sacrifici" e "credibilità" che però ha stancato un po' tutti. A partire dagli stessi mercati. Forse il vento sta cambiando?
Dazi alla Cina, eurolirici senza bussola.
(#SG) I 27 hanno votato: sì ai dazi sulle auto elettriche dalla Cina. Nel crogiuolo delle ventisette bandierine che dovevano scegliere se dire sì, no o “fate voi”, anziché l’astensione, i tedeschi hanno scelto di votare no.
Che sia appropriato o meno applicare i dazi alle auto elettriche cinesi è secondario. Sono tre le cose che rilevano in questa vicenda.
La prima è il fatto che la Germania non sia riuscita a catalizzare i voti dei paesi satellite verso il no e si sia trovata invece in scomoda compagnia di Ungheria e Slovacchia, che stanno agli antipodi della Germania su molte questioni. Una perdita di influenza su una questione strategicamente rilevantissima come questa è un segnale preoccupante per Berlino, che si trova sostanzialmente isolata sul tema.
Secondo punto, il messaggio nei confronti della Cina e degli Stati Uniti, per chi pensa che l’Unione europea abbia una reale proiezione geopolitica, è devastante: il maggior paese dell’Unione si schiera con la Cina e contro gli altri paesi dell’Unione. Per la Cina un invito a nozze, per dividere ancora di più l’Unione. Per gli Stati Uniti un ulteriore conferma del fatto che la Germania è un problema.
Il terzo elemento è l’uscita allo scoperto della Germania: al motto di “Prima gli interessi tedeschi” il governo di Berlino, teoricamente di sinistra, vota per non danneggiare la propria industria automobilistica, che dalla Cina esporta verso l’Europa, mettendosi contro tutti gli altri. Un brutto colpo per gli eurolirici che ancora cercano di vendere l’idea dell’interesse comune europeo, notoriamente inesistente. Una dimostrazione che il consenso europeo non esiste, se non nelle fantasie di chi pensa che dire sempre di sì sia l’unica strada per ottenere qualche briciola da Bruxelles.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it
Siamo colpiti dalle convulsioni politiche tedesche e francesi che mostrano come la decantata "autonomia strategica" dell'UE sia un miraggio. Abbiamo scelto di navigare nella scia degli USA e questo sembra bastare a Roma. A Berlino si dovrà aspettare l'uscita di scena di Scholz. E Parigi da tempo ormai non vale una messa.