Chinese do it better.
(#SG) Nella sua dichiarazione di apertura alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, oggi il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha detto, tra le altre cose:
Abbiamo definito un quadro chiaro per la transizione verso veicoli a zero emissioni con l'obiettivo di auto a zero emissioni al 100% entro il 2035. L'obiettivo ha creato certezza per produttori e investitori. Ha anche fornito abbastanza tempo per pianificare una transizione equa. Abbiamo anche fissato obiettivi vincolanti per gli Stati membri per garantire un minimo di infrastrutture sufficienti.
C’è tutta l’Unione europea in queste frasi: la convinzione che regolare significhi automaticamente materializzare l’oggetto del regolamento, piegare la storia, l’economia, il mondo. “Abbiamo definito un quadro chiaro”, solo questo conta nell’idea del linearissimo processo causa-effetto in cui si crede a Bruxelles. Non ci sono piani B perché sarebbero una negazione della potenza del regolamento.
La Commissione regolamenta, sancisce, stabilisce, disegna un mondo inesistente a misura di favola, con lo stesso pensiero magico dei bambini ma senza averne l’innocenza, gettando sulla strada petali di un futuro illusorio. Come scrisse Pasolini, la fuga nel futuro è tra tutte la più vigliacca.
“L’obiettivo ha creato certezza per produttori e investitori”, questo è verissimo per produttori e investitori… cinesi. Ma poco dovrebbe importare, se l’obiettivo è decarbonizzare il mondo: chinese do it better.
La Commissione si indebita e l’Italia paga
(#GL) La Commissione continua ad emettere obbligazioni e continua a regalare rendimenti agli investitori.
Con quello di oggi siamo al nono episodio della saga, e gli investitori ringraziano. Infatti non gli sembra vero di comprare obbligazioni con rating tripla A ad un rendimento nettamente superiore a quello degli analoghi titoli tedeschi e perfino di pochi punti base superiore pure a quello dei titoli francesi.
Sono le distorsioni che si verificano sui mercati finanziari, quando un emittente come la Commissione è percepito come transitorio, per cui i relativi titoli sono meno liquidi e non entrano negli indici più importanti.
Oggi la Commissione ha emesso un titolo a tre anni per un valore di 5 miliardi (scadenza 6 dicembre 2027) ed ha offerto un rendimento del 2,506%, ben 45 e 3,3 punti base in più, rispettivamente, dell’equivalente titolo tedesco e francese. Stessa scena per i 6 miliardi piazzati con il titolo a 15 anni (scadenza 4 ottobre 2029): rendimento al 3,227%, che si situa 72,1 e 1,9 punti base in più del titolo tedesco e francese, rispettivamente.
Sulle due scadenze, la domanda è stata pari a 16 e 14 volte l’offerta. Fatevi una domanda e datevi una risposta, avrebbe detto Gigi Marzullo.
Dove lo trovate in giro un tale sovra-rendimento per un rischio zero, per un titolo che, anche in caso di scomparsa dell’euro è comunque coperto dalle garanzie dei bilanci nazionali, Germania in testa?
Con gli 11 miliardi di oggi la Commissione è giunta ad emettere 44 miliardi nel secondo semestre 2024, in linea col programma di raccolta di 65 miliardi.
Sono soldi che andranno – indistintamente, e qui sta il trucchetto – ad alimentare i pagamenti verso gli Stati membri per la rate del NextGenerationUE e i vari programmi di aiuti all’Ucraina. Da qualche tempo, la Commissione ha deciso che non è più conveniente fare emissioni separate per ciascuna destinazione di spesa. Si raccoglie all’ingrosso, e si distribuisce al dettaglio.
Tra i maggiori destinatari di queste somme c’è ovviamente l’Italia che ad oggi ha incassato 114 miliardi. Di cui ben 69 sono prestiti che sono andati immediatamente ad aumentare il debito pubblico (i sussidi graveranno nei prossimi anni). Resta un mistero – almeno non ne è stata data ampia divulgazione – quale sarà il tasso di interesse che pagheremo su questi prestiti. Di certo, possiamo dedurre che non potrà essere inferiore al tasso che la Commissione sta pagando agli investitori. Solo di poco inferiore a quello dei Btp, ma con l’aggiunta di tutta la burocrazia e le condizioni di cui è carico il PNRR. Ma quale costo la Commissione girerà all’Italia? Mistero.
Di certo c’è, per il momento, che ci stiamo indebitando con la Commissione, anziché direttamente con gli investitori spendendo il nome della Repubblica Italiana, per eseguire investimenti decisi da Bruxelles. Con l’aggravante che tali investimenti riguardano beni e servizi (la fuffa della transizione energetica è obbligatoriamente pari al 37% della spesa totale) prevalentemente provenienti da catene di fornitura internazionali, con dubbia ricaduta sul Pil.
Insomma, più passa il tempo e più il PNRR si conferma essere la trappola che avevamo subito intravisto: ci fanno indebitare ad un tasso sconosciuto, con condizioni accessorie onerosissime, per comprare beni prodotti da altri che, in parte, non sono quelli che servono al nostro Paese. E, alla fine, dobbiamo pure pagare il conto. Un affarone, vero?
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it