La crisi economica tedesca
(#FD) Dopo vent’anni la Germania torna a sperimentare due anni di fila di recessione. Era accaduto nel 2002 e nel 2003 quando il prodotto interno lordo si contrasse rispettivamente dello 0,2% e dello 0,5%. Ed ora ci risiamo. Per il 2024 il governo rivede al ribasso le proiezioni passando da +0,3% a -0,2%. Dopo il -0,3% del 2023. Numeri infinitesimali. Più da stagnazione che da recessione a dire la verità. Guardando ai dati della produzione industriale ed allargando di qualche anno il panorama dell’osservazione si comprende però come la recessione tedesca sia a molto, ma molto, più visibile. Gli ordinativi del settore manifatturiero sono in calo di oltre il 22% rispetto al picco del 2021; nel momento della piena ripresa post pandemica. E -18% rispetto al 2018. Momento più alto prima del covid. Anche la produzione industriale va male. -13% rispetto al picco del 2018. La guerra russo ucraina, con il conseguente innalzamento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, ha senz’altro avuto un effetto importante nell’innesco della stagnazione. Ma non basta a spiegare il perdurare della crisi visto che nel tempo la volatilità è stata in buona parte riassorbita. La crisi del settore automobilistico tedesco indotta dalle folli politiche green sembra essere il vero motivo strutturale. Ma il ministro dell’economia, il verde Robert Habeck, non vuole sentirselo dire. “Serve sicurezza nella pianificazione. Il problema non è la politica del clima ma il cambiamento climatico. Gli studi (?) dimostrano che se non si prendono le misure necessarie gli effetti saranno fino a sei volte più forti”. Cioè Habeck vorrebbe dirci che il Green Deal non è la causa del problema ma la sua soluzione. Così a prima vista, gli elettori non sembrano credergli molto. Come dare loro torto?
Stimoli cinesi.
(#SG) Qualche giorno fa, nel commentare l’abbassamento dei tassi praticato dalla Banca Centrale Cinese (PBOC), avevamo espresso un cauto scetticismo sul fatto che l’operazione potesse portasse un reale beneficio all’economia cinese. La fiammata delle quotazioni di borsa sta rientrando perché agli annunci non sono seguiti i fatti. Come sempre accade in questi casi, per due settimane si sono rincorse le voci su miracolosi interventi del governo cinese per sostenere la domanda
e le borse asiatiche hanno volato, ma di concreto non si vede ancora nulla. L’unica cosa certa è che Pechino ha confermato il proprio obiettivo di una crescita al 5% per quest’anno, mentre la Germania ha confermato oggi il -0,2%.
L’agenzia statale di pianificazione economica NDRC ha tenuto una attesa conferenza stampa tenuta martedì, ma non è riuscita a fornire dettagli significativi sulle misure di stimolo che il governo avrebbe in mente. Delusione degli investitori, che erano pronti alla carica per comprare tutto il comprabile.
Qualcosa potrebbe accadere sabato, allorché si terrà a Pechino una conferenza stampa del ministro delle Finanze cinese Lan Fo'an, che dovrebbe fornire informazioni su “misure di politica fiscale anticiclica”. Potrebbe essere quello il momento in cui finalmente il tanto atteso pacchetto di stimolo all’economia cinese sarà rivelato. Intanto gli analisti che magnificavano il pacchetto di stimoli inesistente ora affermano che ci sono “limitate possibilità di uno stimolo significativo della domanda" focalizzato sui consumatori nel breve termine, aggiungendo che una "reflazione sostenibile" richiede un pacchetto fiscale di circa 1.300 miliardi di euro focalizzato su consumi, ristrutturazione del debito e proprietà. “Non sono bruscolini”.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it