OUT! n. 62 - 13/11/2024
Cop 29: finisce l'era della decarbonizzazione. Anche a parole | Trump: Rubio e Waltz a bordo |
Cop29: finisce l’era della decarbonizzazione. Anche a parole
Le conclusioni della Cop29 che si tiene a Baku, c’è da scommetterci, riporteranno parole decise e toni assertivi sulla necessità di proseguire compatti lungo la strada della decarbonizzazione. Ma già sappiamo tre cose che non sono proprio dettagli:
1) L’amministrazione Trump abbandona nuovamente gli accordi di Parigi e fra un anno l’atmosfera sarà decisamente più “scoppiettante” ed inedita rispetto a quella di quest’anno
2) Giorgia Meloni ha già lanciato due messaggi. Il primo è che non si può fare a meno delle fonti fossili. Il secondo è che bisogna proseguire nella ricerca e nello sviluppo del nucleare cosiddetto “pulito” vale a dire la fusione. Poiché quest’ultimo oggi è soprattutto un sogno, appare evidente che il messaggio neanche troppo subliminale è che intanto bisogna insistere sul nucleare che già c’è e che l’Italia ha abbandonato inopinatamente.
3) Il terzo messaggio è che non ci sono soldi per la decarbonizzazione delle economie emergenti che quindi continueranno ad utilizzare fonti fossili come e più di prima. In proposito due sono gli episodi a loro modo significativi. Il primo è riferito all’Egitto che si è dichiarato pronto a confermare l’impegno di ottenere il 42% della propria energia elettrica da fonti rinnovabili (idroelettrico incluso) entro il 2030. Oggi è al 18%. Solo che, piccolo dettaglio, gli servono aiuti internazionali. Il secondo riguarda l’annuncio dell’aumento dei finanziamenti da parte delle banche multilaterali di sviluppo presenti. Queste si sono dichiarate pronte ad aumentare il plafond dei finanziamenti disponibili per la transizione verso le energie rinnovabili a 120 miliardi ogni anno. Ma non sono che una piccola parte, secondo Bloomberg, delle migliaia di miliardi che sarebbero necessarie. Ma il Presidente della World Bank Ajay Banga è stato chiaro: “Quei soldi a bilancio noi non li abbiamo”. Direi che da Baku è tutto per ora.
Trump: Rubio e Waltz a bordo
(#SG) La scelta di Marco Rubio, già in predicato di diventare vicepresidente, come Segretario di stato è una indicazione molto chiara di come Donald Trump intende approcciare la politica estera. Il senatore della Florida, nipote di esuli cubani, è fautore di una politica estera decisa e netta nei confronti di Cina e Iran. Rubio è stato sanzionato individualmente da Pechino nel 2020 per le sue posizioni anticinesi. È Rubio ad aver chiesto nel 2019 indagini sulle attività della app TikTok negli USA. Rubio da qualche mese (probabilmente in vista di un incarico in questa nuova amministrazione) si è allineato a Trump anche sulla fine della guerra in Ucraina: una soluzione negoziata con la Russia è per Rubio l’unico modo per fermare la guerra senza escalation.
Assieme a lui, Trump ha scelto Mike Waltz come consigliere per la sicurezza nazionale. Anch’egli dalla Florida, favorevole ad una rapida fine della guerra in Ucraina, è un altro falco nei confronti della Cina. Ex militare (berretto verde, pluridecorato), ha già lavorato al Pentagono in passato. Insomma, un duro.
La piega anti-cinese della prossima amministrazione si delinea sempre più chiaramente. Oltre alla politica estera di confronto netto, i dazi che certamente Trump applicherà metteranno la Cina di fronte ad una serie di dilemmi. Dazi alti sulle merci cinesi (al 60%, dice Trump) imporranno una svalutazione robusta della valuta cinese, che potrebbe arrivare fino al 50%. Cosa che farebbe crollare un po’ tutte le valute dei paesi emergenti come Argentina e Turchia, collegate strettamente al dollaro. Questo farebbe scendere il costo delle materie prime, di cui si avvantaggerebbero proprio gli USA, che vedrebbero incrementare il proprio potere d’acquisto.
La cosa si presenta un po’ complessa, in teoria, perché il renminbi è già ampiamente sottovalutato. Negli ultimi 4 anni è rimasto praticamente costante rispetto ad euro e dollaro, mentre il surplus cinese è aumentato di 4 volte: è evidente che la Banca Centrale cinese lavora molto per evitare apprezzamenti della valuta che potrebbero danneggiare l’export di Pechino.
Trump sta avviando un riassetto della globalizzazione che metterà sotto pressione la Cina e i paesi emergenti. Contrariamente a quanto viene raccontato, quello di Trump non è affatto un disimpegno dal mondo. Al netto delle pose naïf e dei critici pronti ad accusarlo di essere un bullo da bar, Trump potrebbe segnare con la sua seconda presidenza una frattura storica epocale. Il disegno sembra sempre più quello di una riaffermazione del ruolo degli USA nel mondo attraverso i meccanismi dell’economia, anziché attraverso gli eserciti. Allo stesso tempo, la coppia Rubio+Waltz serve a mostrare un volto deciso in politica estera, poiché la sola minaccia economica per molti soggetti potrebbe non bastare. Per gli economisti ortodossi si prevedono quattro anni di sudori freddi.
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati delle commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it