OUT! n. 9 - 24/06/2024
Mille miliardi di patrimoniale | Francia, la posta in gioco | Il Corriere e il mondo capovolto | Tre stati decidono la presidenza USA | Sicurezza gas, disastro Ue | Vendete Francia e comprate Italia!
Mille miliardi di patrimoniale
Lo scorso 21 giugno l’Istat ha pubblicato la stima preliminare dell’indice dei prezzi delle abitazioni relativo al primo trimestre 2024. Non ci interessano i dati congiunturali -trimestre su trimestre precedente- e nemmeno quelli tendenziali, vale a dire lo stesso trimestre ma in due anni consecutivi diversi. Ci interessa piuttosto allargare lo sguardo fin dove è consentito. E nel report citato Istat la panoramica si allarga fino al 2011. Da allora i prezzi delle abitazioni esistenti sono complessivamente diminuiti, secondo l’Istat, del 16%. I prezzi delle nuove abitazioni nel frattempo costruite sono invece complessivamente cresciuti del 24%. Nel complesso quindi il tale delle abitazioni ha perso complessivamente valore in misura pari all’8%. Ma è sul primo dato, quelle delle abitazioni esistenti, che mi preme soffermare la mia e la vostra attenzione. Nel 2011 si insedia il governo Monti che nella manovra lacrime (della Fornero) e sangue (dei contribuenti) impone un drastico aumento dell’imposizione fiscale sul mattone. Nel 2012 il totale delle imposte fra IMU e TASI sale a quasi 24 miliardi rispetto ai 10 dell’anno prima. Secondo le stime di CGIA di Mestre questo dato si è poi stabilizzato negli anni intorno a 20 miliardi di gettito. In pratica un maggior gettito di 120-130 miliardi sul mattone degli italiani. Un salasso patrimoniale annuo che ha svuotato il portafoglio dei contribuenti e depresso appunto le quotazioni del mercato immobiliare. Ma è proprio questo il dato più sconvolgente su cui spesso non si riflette ma che questo report ci aiuta in qualche modo ad immaginare quanto ad ordine di grandezza. Nel 2011 sempre l’Istat stimava il valore complessivo delle abitazioni degli italiani, quale componente della ricchezza delle famiglie, in misura pari a 5,6mila miliardi di euro. Ma con una complessiva diminuzione del valore pari al 16% quel valore si è appunto depresso in un importo che è ragionevole stimare di circa 900 miliardi. Soldi che non sono finiti da nessuna parte ma che si rivelano essere un vero e proprio impoverimento secco della nostra classe media. 900 miliardi in fumo che sommati ai 120 miliardi di maggior gettito fanno una patrimoniale di mille miliardi. Una cifra spaventosa! #FD
Elezioni francesi, la posta in gioco
Grande agitazione sulle possibili maggioranze nel Parlamento europeo appena eletto, con i pensosi commentatori, che tanto apprezziamo, intenti a muovere pedine su un immaginario scacchiere. Fervono le trattative sui nomi attorno a cui assemblare la nuova Commissione e non mancano ardite ricostruzioni su fantomatiche intese che poi si sciolgono come neve al sole. Non si contano i nomi di candidati di paglia gettati nel falò delle vanità raccontato dai giornali tutti i giorni. Chi vivrà vedrà, ma come abbiamo detto sin dal primo momento, la vera partita della prossima legislatura europea non si gioca tanto nel Parlamento o nella Commissione. Tutto, o quasi, dipende dal Consiglio, che raggruppa i capi di stato e di governo, ed è per questo che le votazioni per l’Assemblea nazionale in Francia sono così importanti.
Per come funziona il processo istituzionale a Bruxelles, il Consiglio è l’organo determinante per le decisioni. La maggioranza qualificata è il metodo di voto più diffuso all'interno del Consiglio, e viene utilizzato quando il Consiglio adotta decisioni nell'ambito della procedura legislativa ordinaria, nota anche come codecisione. Circa l'80% di tutta la legislazione UE è adottato secondo tale procedura. L’unanimità in Consiglio è riservata a temi fondativi, meno frequenti, come la politica estera, la sicurezza ed altri.
Cosa significa maggioranza qualificata? La maggioranza qualificata in Consiglio è raggiunta se sono soddisfatte contemporaneamente due condizioni:
il 55% dei governi vota a favore (cioè 15 paesi su 27)
i governi che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell'UE.
Una minoranza di blocco è invece possibile se almeno quattro paesi sono contrari. Facendo un rapido calcolo, risulta che, insieme, cinque paesi (Francia, Italia, Ungheria, Slovacchia e Olanda) rappresentano il 35,7% della popolazione: appena oltre il minimo necessario per bloccare le decisioni del Consiglio.
Dunque, se in Francia il partito di Le Pen e Bardella andasse al governo, un asse con il governo italiano, assieme a Olanda, Ungheria e Slovacchia, sarebbe in grado di costituire una minoranza di blocco in grado di condizionare le scelte dell’Unione europea. Non riuscirebbe a farsi maggioranza, ma potrebbe bloccare molte cose. Un’intesa tra la destra italiana e quella francese è essenziale per la costituzione di una minoranza di blocco, così come è essenziale una intesa con gli altri tre governi. In questa chiave, oltre che sul tema dei nomi per la Commissione, va visto l’incontro di oggi tra Giorgia Meloni e Viktor Orbàn, sobriamente descritto dal titolo di Repubblica di oggi:
Avendo istanze e provenienze anche molto diverse, non è detto che l’accordo tra le cinque destre nazionali possa essere strutturale e di lungo periodo: è più facile che si crei di volta in volta, in funzione degli argomenti che capiteranno sul tavolo del Consiglio. Su diversi aspetti vi potrebbe anche essere convergenza. Resta il fatto che una maggioranza parlamentare ed una Commissione che tengano fuori i partiti che reggono i governi di Francia e Italia, cioè del secondo e del terzo paese dell’Unione nonché tra i cinque fondatori storici della ex CEE, si consegnerebbero ad un Vietnam istituzionale fatto di proposte legislative che al momento decisivo sarebbero in gran parte bocciate. Un logoramento da trincea che nessuno vuole. Ecco il motivo per cui le elezioni in Francia sono fondamentali per il destino dell’Unione europea, ed è a questo che occorre prestare attenzione. #SG
Il mondo capovolto del Corriere
Ci sono i fatti. Poi c’è la lettura che ne dà il Corriere della Sera (tuttora il quotidiano italiana a maggiore diffusione) e quella che è possibile trovare su numerosi altri grandi media internazionali (Financial Times, ecc…).
E la conclusione è che al Corriere vedono il mondo capovolto. Stendiamo un velo pietoso sulla bufala della “cambiale da 300 miliardi” apparsa sabato, che risulta abbia provocato reazione stizzite anche nei corridoi del Mef, per quanto sia totalmente destituita di fondamento.
Ma ormai è un tambureggiare continuo a favore di un unico messaggio: abbiamo difficoltà di bilancio, soprattutto dopo la proposta della Commissione di avviare la procedura d’infrazione per deficit e debito eccessivo. E questo proprio in coincidenza col difficile tornante del negoziato che affronteremo entro ottobre con la Commissione.
Oggi è stato il turno di Ferruccio De Bortoli su Corriere Economia e la musica, vecchia e stonata, non cambia. Siamo sotto i riflettori di Bruxelles e la procedura d’infrazione è addirittura benvenuta perché aiuterebbe il ministro Giancarlo Giorgetti a resistere alle richieste di spesa dei colleghi.
Pare che ci sia bisogno di una correzione di 10/12 miliardi all’anno per i prossimi 7 anni, oltre al rifinanziamento delle misure una-tantum (riduzione del cuneo fiscale in primis) per circa 20 miliardi.
Peccato però che De Bortoli non legga nemmeno il suo giornale. Perché solo giovedì la professoressa Liliana Cavallari, presidente dell’Upb, ha dichiarato che la correzione di 10/12 miliardi “è già nelle tendenze automatiche della finanza pubblica italiana e all’Italia non serve fare altro”.
Ciò significa che non ci sarà da tagliare nulla, ammesso e non concesso che il “Patto” (perché si chiama Patto?) di stabilità ci chieda quella riduzione, perché a legislazione vigente la traiettoria dei saldi pubblici è già quella chiesta da Bruxelles.
Però ieri un pezzo a firma di Federico Fubini che aveva intervistato la Cavallari solo tre giorni prima, titolava “ogni anno in Italia 13 miliardi di tagli”.
È confermato: non si leggono più nemmeno loro stessi. #GL
Tre stati per un Presidente
Negli USA, lo sappiamo, gli stati sono 50. Più o meno estesi. Più o meno popolati. Quando si vota per la presidenza degli Stati Uniti ciascuno di questi stati assegna al vincitore un numero variabile di grandi elettori. In tutto sono 538 e costituiscono nel loro insieme il cosiddetto Electoral College. Per andare alla Casa Bianca servono 270 grandi elettori. La metà più 1 dell’intero Collegio Elettorale. La California di elettori ne assegna 55. L’Alaska tre. Siccome agli americani piace fare le cose difficili, ci sono due stati (Nebraska e Maine) dove il vincitore può non accaparrarsi tutti i grandi elettori. Ma sono stati piccoli e non facciamola troppo lunga. Rimaniamo sul punto. La California è democratica e quei 55 elettori se li aggiudicherà Biden. Un po’ come la Toscana o l’Emilia-Romagna per il PD. Il Texas è repubblicano da sempre ed i suoi 38 elettori andranno quasi sicuramente a Trump. Un po’ come il Veneto per il Centro Destra. Ma ci sono stati ballerini che una volta possono andare ai repubblicani (che pur essendo a destra hanno il colore rosso) o ai democratici (che pur essendo teoricamente di sinistra, si lo so vi viene da ridere come a me, sono colorati di blu). Sono i cosiddetti stati swing. I sondaggi ne evidenziano sette: North Carolina, Georgia, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona e Nevada. Tranne il primo, gli altri sei nel 2020 furono tutti vinti dai democratici senza non pochi problemi ed anomalie. L’ultimo sondaggio Emerson pubblicato su thehill.com rivela come tutti e sette gli stati vedrebbero Trump in vantaggio. In Georgia addirittura di otto punti. In Michigan e Nevada di tre. Ma Trump è in vantaggio anche negli altri quattro. Se Trump si aggiudicasse Georgia, Nevada e Michigan si aggiudicherebbe 50 grandi elettori. Che sommati ai 232 grandi elettori assegnati nel 2020 gli darebbero la presidenza. Appena tre stati sono cioè sufficienti a cambiare il corso delle elezioni. La partita si giocherà lì. In quei sette stati. Tutto il resto è noia, avrebbe cantato Califano. #FD
Sicurezza gas, disastro Ue
Il rapporto della Corte dei conti europea (CCE) sulla gestione della sicurezza nell’approvvigionamento di gas da parte dell’Unione europea diffuso oggi dà ragione di quanto andiamo scrivendo da tre anni a questa parte. I funzionari basati in Lussemburgo hanno riportato oggi, sia pure in forma assai sfumata, ciò che noi abbiamo detto allora, anche prima che le cose accadessero. In sintesi:
· i piani preventivi sulla sicurezza che dovevano essere pronti nel 2019 non sono mai stati fatti (solo la Germania, Lussemburgo e Lituania ce li avevano: peraltro, inutili);
· il rapido abbandono delle importazioni di gas dalla Russa, che nel 2021 erano il 45% di tutte le importazioni di gas dell’UE, ha creato una crisi dell’offerta, che a sua volta ha scatenato una crisi di accessibilità economica;
· durante la crisi, l’UE ha raggiunto l’obiettivo di ridurre la domanda di gas del 15 %, ma gli auditor della Corte non sono stati in grado di stabilire se ciò fosse dovuto alle sole misure adottate o anche a fattori esterni (ad esempio, la distruzione della domanda e un inverno mite);
· l’obbligo di riempimento degli impianti di stoccaggio del gas in tutta l’UE è stato rispettato e l’obiettivo del 90 % è stato addirittura superato, ma si tratta dei normali livelli di riempimento prima della crisi;
· è impossibile valutare l’efficacia del price cap sul gas dato che i prezzi si sono mantenuti bassi dopo che è stato introdotto; la Corte evidenza semmai i rischi nascenti dalla sua introduzione;
· la piattaforma AggregateEU, per gli acquisti congiunti di gas, non ha fornito un valore aggiunto rispetto alle piattaforme esistenti dato che le differenze di prezzo tra gli Stati membri dell’UE indotte dalla crisi si erano già fortemente ridotte quando AggregateEU è entrata in attività;
· la solidarietà tra stati ha visto stipulati solo 8 dei 40 accordi possibili: tre di questi sono dell’Italia.
Un dato interessante: nel solo 2022 la crisi del gas è costata all’UE 390 miliardi di sovvenzioni (secondo Bruegel sono invece 540 i miliardi spesi tra il settembre 2021 e il giugno 2023).
Cosa manca nel report della CCE? Due cose: la prima è che la crisi non inizia nel febbraio 2022 con l’invasione russa in Ucraina ma ben prima, ad inizio estate, quando Gazprom cessa di vendere gas spot in Europa e NON riempie il grosso stoccaggio di cui dispone in Germania. Qui risiede uno dei problemi: la Germania non aveva nessuna regola per il riempimento strategico degli stoccaggi in chiave di sicurezza.
La seconda cosa che manca è un minimo accenno alla sicurezza dei gasdotti. Nel rapporto non c’è una parola sul Nord Stream saltato in aria (anzi, in acqua). Strana dimenticanza, diciamo, visto che si trattava di valutare la sicurezza degli approvvigionamenti di gas.
C’è invece, et pour cause, una questione fondamentale: all’articolo 194 del TFUE si dice che l’Ue deve garantire la sicurezza dell’approvvigionamento. Peccato che non abbia mai dato una definizione di sicurezza. La CCE usa dunque la definizione dell’IEA, ovvero: la disponibilità ininterrotta di fonti di energia a un prezzo accessibile. Sarebbe bastato questo per dare un giudizio sull’operato della Commissione, in fondo. #SG
Vendete Francia e comprate Italia!
Tutto avremmo immaginato di leggere su una delle principali testate economico – finanziarie del mondo, tranne un invito a vendere titoli pubblici francesi per comprare titoli pubblici italiani, per proteggersi dalle turbolenze politiche che agitano Parigi. Scommettete sull’Italia, è l’invito dell’editorialista John Authers.
Eppure è accaduto. Solo che sono notizie e analisi che non filtrano sui giornali italiani tutti intenti a guardarsi l’ombelico. Ma sono però lette dagli investitori che per la gran parte concordano con quell’analisi, comprano Btp e contribuiscono a ridurre lo spread con gli OAT francesi. Anche oggi Btp decennale inchiodato intorno al 3,90% e spread col Bund a 150 e con la Francia a 78.
Che in Europa ci sia un problema e l’epicentro sia in Francia è evidente. Nel Regno Unito ci saranno elezioni dall’esito prevedibilmente dirompente, ma Borsa e titoli non stanno facendo una piega.
Comprendiamo che in certi ambienti picchiare sulle difficoltà finanziarie attuali e future, nel caso della vittoria del RN di Marine Le Pen sia strumentale all’operazione “paura” per spaventare gli elettori e tenere in sella in qualche modo Emmanuel Macron, ma c’è anche (molta) sostanza.
In molti in Francia pensano che Macron abbia fatto una scommessa troppo azzardata, chiamando le elezioni anticipate e temono l’incertezza o, peggio, le ricette di politica economia del Fronte Popolare che raduna tutto ciò che c’è a sinistra.
L’analisi dei migliori fondamentali di Roma rispetto a Parigi è fredda è impietosa. Deficit primario più alto e in crescita; bilancia commerciale francese in deficit per 72 miliardi e quella italiana in surplus per 60 miliardi; inflazione più alta; debito privato più alto; la Francia primeggia solo per i minori interessi sul debito pubblico.
Allora “faites vos jeux, mesdames et messieurs” e puntate sull’Italia. #GL
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it