OUT! n. 4 - 17/06/2024
La frottola dello spread | Expo armamenti a Parigi | La von der Leyen entra Papa ma... | Superbonus: fu vera gloria? | Asse Draghi-Bardella sull'energia? | Draghi e l'esempio svedese (senza euro!)
#Spread #Italia #Francia #Bankitalia
Da mesi l’economista Robin Brooks del Brookings Institute - e con un passato in Goldman Sachs- sta alimentando sul social X (già twitter) la narrazione secondo la quale il differenziale di rendimento fra il BTP decennale e l’analogo Bund tedesco (Spread) è artificialmente basso grazie ai sostanziosi acquisti della BCE soprattutto dopo l’insediamento del Governo Meloni. Litania intensificatasi dopo che lo scioglimento anticipato dell’Assemblea Nazionale francese da parte di Macron ha innescato un certo nervosismo anche sui titoli di stati d’oltralpe. Brooks non molla: il vero malato d’Europa è l’Italia non la Francia. A questo racconto aderisce amplificandolo in patria Federico Fubini dalle colonne del Corriere della Sera; puntualmente ed impietosamente sbugiardato da Liturri che ha fatto notare come i rendimenti dei nostri Btp non sono di fatto aumentati rispetto all’incremento di quelli francesi. Precisiamo che il racconto di far apparire gli acquisti di Btp da parte della BCE come un grazioso regalo sia una cosa quanto mai bizzarra. Nel mondo delle valute sovrane è infatti perfettamente normale che una banca centrale sostenga i titoli del governo di competenza. Ma nel mondo dell’euro e di una banca centrale condivisa, questo può effettivamente apparire come un indebito favore. Peccato però che Brooks racconti una frottola colossale. Intanto si concentra soltanto su uno dei due programmi di acquisto dei titoli di stato attuati dalla BCE tramite Bankitalia; ovvero il cosiddetto PEPP (il programma di acquisto pandemico varato in pieno Covid) e non anche sul PSPP ( iniziato a seguito del celebre “whatever it takes” di draghiana memoria). Confrontando gli acquisti netti totali scopriamo infatti che con Renzi al governo Bankitalia ha acquistato oltre 160 miliardi di Btp (quasi 5 miliardi al mese); con Gentiloni invece oltre 117 miliardi (6,5 miliardi al mese). Con il Conte 1 appena 25 miliardi (1,7 miliardi al mese) e con il Conte 2 addirittura 157 miliardi (oltre 9 miliardi al mese). Con Draghi a Palazzo Chigi gli acquisti netti sono stati grosso modo gli stessi: 157 miliardi ovvero 7,5 miliardi al mese. E con Giorgia Meloni? Ebbene, Via Nazionale ha venduto oltre 40 miliardi di Btp. Mediamente 2,2 al mese. Il Governo Meloni sta cioè piazzando i titoli sul mercato senza nessun aiutino da parte di Bankitalia che anzi sta tirando i remi in barca. #FD
#Difesa #armamenti #industria
Si è aperta oggi a Parigi Eurosatory, fiera mondiale degli armamenti. Le 74 aziende israeliane che avevano prenotato spazi non saranno presenti all’expo, per decisione del governo francese che temeva disordini, mentre gli USA portano a Parigi 165 aziende. La Francia gioca in casa e ha 674 aziende che espongono, sulle oltre 2.000 presenti. La Germania 127, 46 l’Italia. Due guerre in atto alle porte dell’Europa, necessità di nuovi armamenti e di rimpinguare gli arsenali. Così si spiega l’interesse per l’expo e soprattutto la performance delle aziende del settore della difesa. L’indice S&P Aerospace & Defense negli ultimi 12 mesi ha dato un ritorno totale del 17,23%.
Il valore della tedesca Rheinmetall AG, che fabbrica munizioni, è passato dai 97 € per azione del febbraio 2022 agli attuali 487,50 € dopo i massimi a 543 € toccati ad aprile scorso.
La francese Thales, che produce munizioni e missili, è valorizzata a 151,30€ dagli 84,43 € per azione di febbraio 2022.
L’azienda francese conta di passare dai 20.000 proiettili per mortaio prodotti nel 2022 a 30.000 quest’anno, 50.000 nel 2025 e 80.000 nel 2026.
Aumentano gli ordini, aumentano i fatturati, aumentano le assunzioni. In Europa di parla di 30-40.000 posti di lavoro in più. Il settore della difesa è in pieno boom, è il caso di dire. La nuova Unione del prossimo quinquennio ha trovato la sua vocazione industriale, a quanto sembra, ma è difficile esserne felici. #SG
#ConsiglioEUropeo #Meloni #VonderLeyen #Accordo #?
Oggi è la giornata del Consiglio Europeo informale a Bruxelles in cui si presume saranno definiti i giochi per tre dei prossimi incarichi di vertice delle istituzioni. All’ora di cena, i capi di governo dei 27 Stati membri decideranno chi indicare come candidato alla presidenza della Commissione, chi sostituirà Charles Michel alla Presidenza del Consiglio Europeo e il nome dell’alto rappresentante per la politica estera.
Nell’ordine Ursula von der Leyen, il portoghese Antonio Costa e l’estone Kaja Kallas. Con investitura ufficiale prevista per il Consiglio del 27-28 giugno.
Per tutta la giornata, i grandi media internazionali hanno rilanciato in continuazione gli stessi nomi, seguendo il solito schema di “alti funzionari della UE che seguono il dossier e parlano sotto garanzia di anonimato”. Tutti insolitamente e contemporaneamente ciarlieri, per non pensare ad un’accurata strategia comunicativa.
Tutti concordi nel riportare un presunto accordo tra Giorgia Meloni, Olaf Scholz e Emmanuel Macron a margine del G7 in Puglia. Con il francese che, indebolito dalle elezioni e con tutti i problemi che ha in casa, ha rinunciato ad aprire un altro fronte con i colleghi, evitando di recitare il ruolo di protagonista o prima donna, che gli viene spesso attribuito negli incontri internazionali. E poi alle 21 gioca la Francia…
È quindi fatta? Calma e gesso. I capi di governo potrebbero anche convergere sulla baronessa tedesca, perché il Consiglio Europeo decide a maggioranza. Ma poi quel nome deve andare al voto decisivo dell’Europarlamento il 15 luglio. E là i numeri non sono blindati. Lo sono ancora meno di quanto lo fossero nel 2019, quando la von der Leyen passò per 9 voti del M5S.
Se la presidente uscente fosse impallinata, la crisi istituzionale della Ue sarebbe conclamata.
In tutto questo, la Meloni non si sbilancia, lascia parlare gli altri e non si fida di eventuali merci di scambio (vice presidenza Commissione o assegnazione di un portafoglio pesante). Perché, una volta in carica, il Presidente di Commissione non lo può cacciare nessuno. Allora meglio pensarci bene, prima di rimettere in sella la tedesca e, a volte, chi entra Papa esce Cardinale. #GL
#Superbonus #Bankitalia #Pil
Il Superbonus con la sua pesante eredità lasciata sui nostri conti pubblici è ormai oggetto di quotidiana contesa. Una sciagura per i conti pubblici di cui pagheremo l’onere per anni, secondo il ministro Giorgetti. Una grande operazione di politica fiscale espansiva e di stampo keynesiano secondo il M5S. Bankitalia ha provato a fare il punto con uno studio: “L’impatto economico degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni edilizie” di Antonio Accetturo. Il lavoro ha analizzato l'impatto economico del cosiddetto "Bonus facciate" e del famigerato "Superbonus 110%", attivi in Italia dalla seconda metà del 2020. Il loro obiettivo era appunto quello di stimolare il settore delle costruzioni attraverso investimenti mirati a migliorare l'efficienza energetica e le caratteristiche antisismiche ed estetiche degli edifici residenziali. Sotto questo aspetto la missione sembra perfettamente riuscita. Rispetto al quarto trimestre 2019 -e dopo quattro anni- gli investimenti delle imprese nel settore immobiliare sono cresciuti dell’80% rispetto ad una lieve decrescita nell’ordine del 5% per l’area euro. Anche il valore aggiunto del comparto è significativamente aumentato intorno al 40% contro una diminuzione di quasi il 10% registrato nell’eurozona. Le due misure hanno comportato una spesa di oltre 170 miliardi nel periodo 2021-23 (circa il 3 per cento del PIL in media d'anno). La valutazione dei loro effetti è stata realizzata, come abbiamo visto, confrontando l'andamento della spesa per investimenti residenziali dell'Italia con quello di alcuni paesi europei che non avevano adottato programmi simili (cd. "metodo del controllo sintetico"). Bankitalia ha stimato che circa un quarto della spesa relativa agli investimenti sussidiati (oltre 45 miliardi) sarebbe stata effettuata anche in assenza degli incentivi. Questo risultato implica che il moltiplicatore fiscale sia stato inferiore all'unità, ossia che i benefici per il complesso dell'economia in termini di valore aggiunto siano stati più bassi rispetto ai costi sostenuti per le agevolazioni. Si potrebbe dire, secondo Bankitalia, che la montagna ha partorito il topolino. Ma non certo per il settore immobiliare. #FD
#Draghi #competitività #prezzo #energia
Nuovo discorso di Mario Draghi, che sta attuando una interessante strategia di marketing per il suo piano da oltre 400 pagine sulla competitività, che dovrebbe essere diffuso a fine luglio. Al contrario di Enrico Letta, che ha diffuso il suo rapporto sul Mercato Unico una volta completato (peraltro, lo stesso giorno in cui è stato oscurato dal discorso di Draghi a La Hulpe), l’ex presidente della Banca Centrale Europea lascia filtrare anticipazioni in vari eventi per saggiare poi le reazioni. Questa volta dalla Spagna, Draghi ha detto che per recuperare competitività l’Europa deve abbassare i costi dell’energia e deve dotarsi di “migliori” politiche industriali.
Il distacco tecnologico dagli Stati Uniti spiega la minore produttività europea, secondo Draghi. Come abbassare i costi dell’energia? Attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili, delle reti elettriche e il disaccoppiamento dei prezzi dell’energia dai combustibili fossili, dice Draghi. Niente di nuovo, in realtà. Sulla reale possibilità di abbassare i prezzi con le rinnovabili e sulla questione delle reti occorre notare che in entrambi i casi si tratta di creazione indotta di una domanda di minerali critici che ha un forte impatto inflattivo. Non torniamo sulla enorme necessità di investimenti e sulla domanda già posta dal ministro Giancarlo Giorgetti a proposito della direttiva sulle case green: chi paga?
Qui è interessante notare l’assonanza dell’ultimo punto (l’abbandono di fatto del sistema del prezzo marginale di sistema), con quanto ha detto Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen, venerdì scorso. Il probabile prossimo capo del governo francese ha detto che vorrebbe abbandonare il mercato elettrico europeo a favore di un prezzo “francese” dell’energia, basato sui costi del nucleare. Una ipotesi che vedrebbe anche l’appoggio del sindacato CGT, che da tempo spinge per questa soluzione. Gli impatti sul resto d’Europa, soprattutto sulla Germania, sarebbero rilevanti. Certamente non è quello che intende Draghi quando parla di sganciare il prezzo dell’energia elettrica dal gas, tuttavia la combinazione delle due posizioni è singolare e prelude a sviluppi. #SG
#Draghi #Svezia #Esempio #Euro #Corona #Produttività
Credevamo di averle viste tutte, ma ci sbagliavamo. Perché ascoltare Mario Draghi magnificare le virtù dell’economia svedese, addirittura da prendere ad esempio per la forte spinta sulle tecnologie avanzate, coniugata all’efficiente modello di protezione sociale, è qualcosa davvero inatteso.
Sì, perché la Svezia è membro della Ue ma non utilizza l’euro. Ma come? Sta studiando come potenziare l’asfittica economia europea e porta ad esempio un Paese che, senza l’euro, ha potuto navigare quasi indisturbato le peggiori tempeste economiche degli ultimi anni? Un autogol di dimensioni epocali.
Perché la “coroncina svedese” è stata costantemente e sapientemente utilizzata nelle grandi crisi dell’era euro, come efficace ammortizzatore, lasciando che si svalutasse fino a punte del 20%. Ed è attualmente ai minimi storici dalla nascita dell’euro. Sembra il caso di scuola per dimostrare il ruolo della moneta – come leva necessaria ma non sufficiente – per superare shock macroeconomici esogeni. Ma forse Draghi non ci ha pensato. Oppure ci ha pensato ed allora la prospettiva si fa molto interessante…
Saremmo curiosi di conoscere da Draghi se, anche con l’euro, sarebbe stato possibile per la Svezia ergersi a campione degli investimenti nelle tecnologie avanzate, che così grande ruolo, a suo dire, hanno nel migliorare la produttività. Oppure, più verosimilmente, se anche la Svezia non sarebbe finita vittima della cieca politica pro-ciclica di tagli al bilancio pubblico e repressione dei consumi pubblici e privati che deprimono la produttività. Citofonare Italia, Grecia, Portogallo o Spagna per informazioni. Siamo alle solite, Draghi dimentica che le imprese investono se c’è domanda. E se la domanda viene depressa, i macchinari, anche i più avanzati, girano a vuoto.
Ma questo è solo il prologo del vasto programma che Draghi si appresta a consegnarci entro qualche settimana. Si tratta infatti del famoso rapporto sulla competitività che si preannuncia di “circa 400 pagine” (chi lo leggerà?) commissionatogli da Ursula von der Leyen diversi mesi fa. Tremiamo nell’attesa di leggere il resto. #GL
Gli autori
Fabio Dragoni
Bocconiano. Un passato da manager e piccolo imprenditore. Si è occupato per anni di sanità dopo aver lavorato qualche lustro nel mondo delle banche locali. Dal febbraio 2014 non si dà pace. Lotta e scrive di moneta e libertà. Oggi firma de La Verità, Il Timone e CulturaIdentità. Polemico come molti suoi conterranei. Perché come dice Stanis La Rochelle: “i toscani hanno devastato questo Paese”.
Sergio Giraldo
Classe 1969, laurea in Scienze Politiche a Milano. Attivo da trent’anni nel settore dell'energia, dove ha ricoperto ruoli dirigenziali in diverse aziende, è analista indipendente dei mercati commodity, delle politiche europee e del commercio internazionale. Collaboratore assiduo del quotidiano La Verità. Socio di a/simmetrie.
Giuseppe Liturri
Nato a Bari nel 1966. Laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi e trentennale esperienza in finanza e gestione d'impresa. Dal 2018 impegnato in un'intensa attività di divulgazione e commento su temi di economia nazionale e internazionale, con particolare attenzione all'Eurozona. Scrive su La Verità e su Startmag.it
Buongiorno, segnalerei a Fabio Dragoni un aspetto riguardante la vicenda superbonus edilizi del quale né lui né altri sembra abbiano tenuto conto.
Si sono concentrarsi invece sulle sole questioni economiche che lo riguardano ed eventualmente sulla sua funzionalità o meno nei riguardi del cosiddetto moltiplicatore keynesiano.
Come per motivi ovvi avviene sistematicamente nei settori di volta in volta favoriti dall'incentivazione di Stato, il mercato dei materiali per edilizia ha registrato aumenti ancora superiori rispetto alle percentuali già molto sostanziose offerte dal provvedimento ai percettori del superbonus.
Questo in sostanza ha spinto verso l'alto il costo dei prodotti secondo un criterio che gli anglosassoni definiscono skyrocketing. Detesto gli anglicismi e più che mai nel contesto italiano dove sono regolarmente utilizzati a sproposito e spesso con errori grossolani riguardo al loro significato, ma questa volta si tratta del termine che sembra il più indicato per definire la tendenza.
In sostanza l'effetto primario del superbonus, e pertanto quello in funzione del quale si può supporre sia stato promulgato, è quello di aver reso inaccessibile un qualsiasi prodotto commercializzato tramite il mercato dei prodotti per edilizia per chiunque non faccia parte dei ceti privilegiati o non sia una società di capitali florida dal punto di vista finanziario.
Ecco allora che dietro la facciata del presunto moltiplicatore keynesiano si nasconde la logica della fiscalità regressiva, volta a spostare ricchezza dal basso verso l'alto e a scremare il campo delle aziende attive nel settore da quelle non sufficientemente forti economicamente.
Come se non fosse già più che abbastanza, detta logica andrebbe poi osservata in funzione delle misure stabilite dall'UE riguardo all'edilizia e in particolare ma non solo alle abitazioni civili, rispetto alle quali assume finalità devastanti.
Tutto il patrimonio immobiliare deve essere convertito a emissioni zero, pena l'impossibilità di vendere o affittare e persino l'esproprio da parte delle "autorità" che poi incaricheranno ditte globalizzate delle ristrutturazioni necessarie e poi dell'affitto degl'immobili, secondo la logica del "non avrai nulla ma non sarai mai stato così felice".
E' evidente pertanto che un aumento tanto marcato per i costi dei prodotti per edilizia abbia quale primo effetto l'impossibilità per la stragrande maggioranza dei piccoli proprietari di accedere ai relativi prodotti e quindi di adeguare le abitazioni di cui sono in possesso alle regole UE appositamente rese deliranti e nello stesso tempo oltremodo stringenti. Così da favorire un esproprio di massa che non ha precedenti storici, se non forse quello delle fattorie dei kulaki in epoca staliniana.
Questo e non altro è il vero significato del superbonus: strumento atto a facilitare e rendere pervasivo al punto di essere dilagante il processo di esproprio già da anni in programma, reso operante in tempi non sospetti, ossia a distanza di sicurezza dal suo avvio, in modo tale da mascherarne le reali finalità, quantomeno agli occhi di chi non desideri vederle o meglio ancora voglia trascurarle minuziosamente.
Pur con tutta la simpatia per Dragoni e per gli altri componenti del gruppo che ho seguito a lungo già nel periodo delle dirette di "Libertà di pensiero, meglio di niente", e qui voglio ricordare la figura di Sebastien Cochard che fra tutti è quella che mi ha ispirato maggiormente e ha attratto la mia simpatia, sappiamo poi la fine che ha fatto, come andrebbe definita la funzione di chi si occupa di superbonus senza menzionare la sua reale finalità?